pubblicato il 28/05/15

2. Il processo interiore del sé

La causa della confusione e della conflittualità esterne ed interne non risiede solo nella mancanza di consapevolezza circa la mia vera natura in quanto essere spirituale o anima, come sottolineato nel capitolo precedente. Non c’è una comprensione abbastanza precisa circa il modo in cui mente, intelletto e impressioni subconscie interagiscono per produrre la mia vita.

A causa di questa ignoranza di fondo, sono limitato ad una visione ridotta della mia stessa esistenza e del mondo che mi circonda, come la storia delle rane nell’introduzione. Invece di identificarmi con ciò che sono veramente, mi vedo come un corpo con un determinato numero di abitudini e ricordi che formano gli strati più superficiali del sé. La prigione a cui ho fatto riferimento nel capitolo precedente è costituita dal pensiero che sono questo e solo questo: «Sono nato così. Sono cresciuto così. Sarò sempre così e morirò così…».

La base della stabilità

Se non comprendo come lavora il sé interiore, non posso correggere le conseguenze di questo caso di errata identità. È il seme di qualsiasi processo negativo nel quale mi trovo coinvolto, che mi priva della pace della mente e mi causa angoscia. È come essere un meccanico. Solo se conosco come funziona il mio meccanismo interiore posso sistemarlo.

Senza una base di conoscenza spirituale, e a causa del bisogno fondamentale di sicurezza emotiva e mentale, automaticamente mi aggrappo, accumulo e sviluppo associazioni e finalità limitate. A causa della loro natura restrittiva, queste creano una distanza ancora maggiore tra il mio sé reale e la vera sicurezza.

Quando mi guardo allo specchio, vedo la faccia alla quale ho associato me stesso durante tutta la mia esistenza, come se persino i ricordi facessero parte delle rughe.

Con gli anni, le innumerevoli situazioni nelle quali ho dovuto comunicare il mio nome, indirizzo, numero di telefono, età, grado di istruzione, occupazione e nazionalità, hanno rafforzato la sensazione di essere questa identità temporanea. Dopo aver ripetuto un migliaio di volte questi aspetti a me stesso e agli altri, essi sono diventati così profondamente inglobati che non dubito più di essere questo insieme di coordinate fisiche e nulla più. Per ironia, questa identificazione errata è il risultato inevitabile dei miei tentativi costanti di sentirmi più sicuro. Anche le situazioni e le altre persone mi si presentano con le medesime etichette e senza pensarci le applico a me stesso.

- Sono uomo, donna, anziano, giovane, bello, brutto, nero, bianco.

- Abito nel posto tale…

- Sono ingegnere, dottore, operaio…

- La mia nazionalità è…

- La mia religione, credenza o filosofia di vita è…

Quando mi lego totalmente ai ruoli, alle relazioni e alle responsabilità a casa o al lavoro, al punto di dimenticare completamente la mia vera identità, raggiungo uno stato di instabilità spirituale, soprattutto perché questi fattori seguono direzioni diverse.

L’instabilità mi fa agire in un modo in famiglia, in un altro al lavoro e in un altro ancora nello studio. Quando cerco di tenere le briglie, non ci riesco, poiché anche tutto ciò a cui sono connesso è costantemente in movimento. Con il tempo gli inevitabili risultati sono confusione e stanchezza.

Poiché non sono consapevole delle vere basi della stabilità, ho difficoltà a controllare la mia vita. La frustrazione generata da questa mancanza di controllo suscita in me sentimenti di ostinazione, irritabilità e persino aggressività. Faccio le cose a seconda dello stato d’animo del momento, e spesso senza nesso logico.

Una tale mancanza di controllo conduce ad ulteriori pensieri, parole ed azioni contrari alla mia vera natura essenziale. Quando si inseguono scopi e oggetti limitati, anche al fine di raggiungere una maggiore stabilità, non è insolito ritrovarsi in compagnia di illusione e insoddisfazione.

I parametri dell’ego

Le etichette menzionate precedentemente sono le restrizioni imposte al vero sé dal cosiddetto sé inferiore o ego.

All’interno di questi limiti, io mi adatto e continuo a vivere in modo tale da non dare alcun credito a modi di vivere diversi. La possibilità di una reale trasformazione trascende i miei sogni più arditi.

Se mi definisco in conformità ad aggettivi associati alla forma, colore della pelle, età, sesso e bellezza del corpo, la mia visione degli altri sarà la medesima. Divento terreno fertile per pregiudizi, critiche e bigottismo.

Con una visione più elevata e realistica, i pregiudizi razziali, sessuali, culturali, religiosi e sociali possono essere evitati facilmente. Lo sviluppo di una visione di fratellanza poggia sulla consapevolezza che, al di là di ogni aggettivo, io e gli altri siamo essenzialmente degli esseri spirituali. Ciò mi aiuta a dissipare l’intolleranza.

Mi rendo conto che, in quanto entità coscienti, benché in possesso di caratteristiche personali diverse, che determinano la nostra individualità, abbiamo tutti gli stessi diritti a godere dell’esistenza terrena nel miglior modo possibile.

Senza questo senso elevato di autoconsapevolezza, dovunque io vada, e con chiunque mi trovi, la prigione dell’ego mi accompagnerà. Vincolato dai vari parametri di nome, forma, residenza, professione, nazionalità, sistema di credenze ecc. che si formano intorno a me, organizzo la mia esistenza di conseguenza, senza neppure immaginare che ci sia dell’altro oltre a questo.    

Coscienza

Uno dei punti fondamentali del Raja Yoga è che il sé è energia cosciente, consapevole della propria esistenza. La coscienza, nella sua definizione più semplice, descrive la consapevolezza che io ci sono, o che io esisto.

La consapevolezza che «Io sono qualcosa o qualcuno» è il trampolino di lancio di tutti i pensieri, le parole e le azioni.

A seconda delle situazioni, il qualcosa nell’espressione precedente viene sostituita da parole come uomo, donna, nero, bianco, brutto o bello ecc. Parole come capo, padre, madre, membro di questa o quella famiglia o professione, ed altri ruoli del genere, sostituiscono il qualcuno.

Le complicazioni cominciano quando si dimentica il vero sé e tutto viene controllato dagli aggettivi e dai nomi che si riferiscono all’una o all’altra di queste condizioni temporanee.

Ovviamente, il processo dell’esistenza deve conformarsi a certi parametri affinché si possa svolgere con una certa coerenza. Devo agire in conformità ai ruoli di essere qualcosa o qualcuno con responsabilità e attenzione. In realtà, l’ego, rappresentato dai parametri precedenti non è il problema. È il modo in cui lo uso.

Se rimango solamente nella consapevolezza di essere un’entità eterna di luce, con la testa tra le nuvole come si suol dire, allora le necessità del mangiare, vestirsi, dormire e proteggere il corpo possono essere trascurate. È essenziale che ci sia un equilibrio tra la consapevolezza che mi porta oltre la preoccupazione e la responsabilità dei ruoli temporali e la mia esistenza vera ed eterna affinché possa prendermi cura sia del corpo che dell’anima.

È importante enfatizzare il fatto che l’anima dipende dal corpo tanto quanto il corpo dall’anima. Il corpo senza l’anima è un cadavere: l’anima senza un corpo non ha modo di manifestarsi.

Così come il corpo possiede vari organi per le sue funzioni vitali, il processo interiore del sé funziona attraverso tre facoltà sottili: mente, intelletto e impressioni subconscie (chiamate sanskaras in hindi).

Mente

È attraverso la mente che immagino, sento, penso e creo idee. Essa è il centro di tutte le emozioni, desideri e sensazioni. Quando i pensieri attraversano il campo della mente, si produce un certo stato d’animo che a sua volta crea una particolare vibrazione. Questa vibrazione influenza il mondo che mi circonda.

Attraverso questa facoltà, si possono proiettare istantaneamente i pensieri in luoghi lontani, rivivere esperienze ed emozioni passate e persino prevedere il futuro. La mente è una facoltà dell’anima e non dovrebbe essere confusa con il cuore o il cervello del corpo.

La mente è il centro emozionale del sé.

Intelletto

Questa facoltà viene usata sia per valutare che per generare i prodotti della mente. Poiché essa tiene insieme tutti i fondamentali processi attivi del processo interno, è fondamentale comprenderne il funzionamento. L’intelletto decide, giudica, discerne, ragiona, capisce ed esercita il potere della volontà.

L’intelletto è il centro razionale del sé.

Il flusso dei desideri, idee ed immagini fornite dalla mente, passano attraverso la porta dell’intelletto con due possibili destinazioni:

  • · come azioni eseguite attraverso il corpo
  • · come rimandi ad esperienze già registrate nel sé come sanskars

Sanskars

La registrazione delle mie azioni ed esperienze forma l’insieme delle abitudini, tendenze, tratti della personalità, talenti e ricordi che costituiscono la mia personalità. Il loro insieme è chiamato sanskars. Nel mondo occidentale, questa facoltà del sé è quella che più si avvicina a ciò che viene chiamato subconscio o anche mente inconscia che insieme formano le nostre inclinazioni. Preferiamo la parola sanskara perché ha un significato molto più ampio.

Difetti, virtù e ricordi sono tutti sanskars.

Origine dei pensieri

Immaginiamo l’insieme dei sanskars o impressioni subconscie come onde del mare. Si alzano e si infrangono sulla spiaggia della mente come pensieri, emozioni, desideri ecc. A loro volta, questi vengono elaborati dall’intelletto il quale li mette in atto attraverso il corpo oppure li respinge.

La maniera in cui agisco, i risultati delle mie azioni e tutti i dati raccolti dal mondo esterno attraverso i cinque sensi lasciano delle impressioni o impronte nel sé.

Sia lo stato mentale che quello cerebrale influenzano o stimolano la nascita di tipi particolari di sanskars, formando così un perfetto processo interattivo.   

La maggior parte delle mie azioni e interazioni lascia solo delle impronte superficiali nel sé. Quando un’azione viene messa in atto ripetutamente, diventa un sanskara profondo. Quindi ha una maggiore probabilità di manifestarsi nella mente conscia in futuro (è il caso delle abitudini, per esempio).

Quando le azioni vengono registrate nel sé, creano un nuovo sanskara o ne rafforzano uno già esistente. Azioni ripetute della stessa natura danno luogo a schemi di comportamento che sono simili a solchi, lungo e intorno ai quali si muove la mia energia interna. La forza di qualsiasi tendenza, abitudine o ricordo è proporzionale alla profondità del solco.

I solchi     

Durante una conferenza a Bogotà, Colombia, una persona di una certa età si alzò in piedi e chiese che cosa poteva fare per smettere di fumare. La conversazione andò così:

«Quante sigarette fuma al giorno?».

«Trenta».

«Da quanto tempo fuma?».

«Trent’anni».

Feci un rapido calcolo e gli dissi:

«Ciò significa che lei ha fumato 330.000 sigarette o 16.500 pacchetti in tutta la vita!».

A queste parole, mi guardò incredulo.      

Dopo avergli spiegato il processo di formazione delle abitudini e di come la meditazione possa rafforzare la forza di volontà, il suo volto si illuminò di fronte alla possibilità di poter cambiare.

Citai molti casi di miei conoscenti che, con la pratica regolare della meditazione, erano riusciti a eliminare in brevissimo tempo abitudini radicate. Nel suo caso, poiché il processo del fumare era stato ripetuto più di 330.000 volte, avrebbe dovuto rafforzare la sua volontà in modo notevole, per capovolgere la situazione.

Attraverso la ripetizione, questi schemi interiori finiscono solo per rafforzarsi. Se qualcuno riesce a fumare tante sigarette in vita sua, immaginate quanto spesso ripetiamo il processo di arrabbiarci, di essere gelosi, egoisti, invidiosi, frustrati ecc. Come vedremo in seguito3, non vi sono solamente i problemi di questa vita. Vi sono stati processi simili in vite precedenti.

Nei miei dialoghi interni, ho scoperto che la volontà di migliorare me stesso non manca. Ma ho dovuto lavorare molto sui poteri spirituali per mettere in pratica i miei ideali e ciò che andavo comprendendo. Più di qualsiasi altra cosa, la meditazione mi ha aiutato a sviluppare la forza di volontà e a migliorare la qualità dei miei pensieri.

Qualità dei pensieri

Una domanda che viene fatta spesso da coloro che stanno per iniziare la pratica della meditazione è come si può interrompere il flusso incessante di pensieri riguardo a ieri, oggi e domani, gli oggetti, gli eventi e le altre persone al fine di meditare efficacemente.

La risposta è semplice. Devo creare deliberatamente e coscientemente pensieri positivi relativi allo stato naturale del sé. In conformità al principio che posso avere solo un pensiero alla volta, questo effetto spazza via i pensieri che non hanno nulla a che fare con la meditazione. Per questo devo sapere quali categorie di pensieri sono potenzialmente efficaci.

Vi sono fondamentalmente quattro tipi di pensieri:

  • · Pensieri positivi o potenzianti: sono quelli relativi alla natura innata del vero sé o quello di altri, alla conoscenza spirituale, al compito di elevare gli altri spiritualmente, (donando felicità, augurando il bene), alle virtù, all’auto-rispetto.
  • · Pensieri negativi o che indeboliscono: riguardano i difetti degli altri, i propri, la sfiducia, la mancanza di autostima, rabbia, frustrazione, vanità, avidità, arroganza o pigrizia.
  • · Pensieri inutili o non necessari: preoccupazioni e paure, immaginazioni irreali o fantasticherie, pensare insistentemente a un compito particolare che richiede realmente solo un po’ di pianificazione. Anche queste cose indeboliscono il sé.
  • · Pensieri neutri o essenziali: quelli relativi alle funzioni o responsabilità connesse con il corpo come mangiare, dormire, lavarsi, prendersi cura dei bambini o delle scadenze di lavoro.

Inoltre i pensieri sono soggetti ad alcuni criteri che è altrettanto utile comprendere:

  • · I pensieri possono generare conseguenze o vibrazioni positive, negative o neutre.
  • · I pensieri positivi producono vibrazioni di alta qualità che possono annullare la bassa qualità dei pensieri negativi.
  • · Tutti i pensieri creano un effetto esterno sugli altri o sull’atmosfera circostante, che a sua volta determina un certo tipo di riscontro per il sé.

L’intelletto determina i limiti

L’intelletto ha il ruolo più importante riguardo all’autopotenziamento. A seconda del livello di comprensione e di percezione che ho, è l’intelletto che definisce i confini del mio comportamento.

Ciò diventa chiaro se guardiamo i principi etici delle varie persone.

Per esempio:

  • · C’è il vegetariano che non sopporta di stare a tavola con i carnivori.
  • · Ci sono quelli che mangiano carne ma che personalmente non ucciderebbero un animale per questo scopo. Tuttavia a loro non importa pagare qualcun altro (il macellaio o l’addetto del mattatoio) che lo faccia.
  • · Ci sono quelli che lavorano al mattatoio a cui non interessa uccidere animali. Ma, se comparisse un essere umano tra quelli segnati per essere uccisi, rifiuterebbero di uccidere la persona.
  • · Ci sono assassini che non si fanno scrupoli ad uccidere amici e parenti di altri, ma rifiuterebbero di uccidere i propri amici e parenti.
  • · Ci sono quelli a cui non interessa uccidere membri della propria famiglia.
  • · Ci sono quelli che arrivano ad uccidere se stessi!

In ognuno di questi casi è l’intelletto che decide il comportamento dell’individuo, fino a che punto estendere i propri confini e definire le possibilità. All’intelletto va ascritta la sua giusta posizione di governatore.

Il governatore del sé

La debolezza spirituale fa perdere all’intelletto la sua sovranità o il controllo sul regno interiore del sé, i sensi fisici e, in definitiva, su tutti gli aspetti della vita. Questa perdita di controllo è una sollecitazione al manifestarsi di abitudini negative che diventano poi i cosiddetti difetti della personalità.

I difetti fanno parte dei sanskars e le debolezze sono problemi dell’intelletto. Ogni difetto provoca inevitabilmente ulteriori debolezze, creando così una perdita maggiore e aumentando la possibilità di accumulare ulteriori difetti. Questo è ciò che viene chiamato circolo vizioso.

A meno che non venga introdotta energia positiva, il circolo continuerà a girare in tondo.

Così come la perdita di potere spirituale porta debolezza e difetti, l’introduzione di tale potere attraverso la meditazione può invertire l’intero processo. Il potere genera virtù, le quali generano ulteriore potere.

Questo è ciò che viene chiamato circolo virtuoso.

Ad esempio, una situazione che in precedenza mi avrebbe fatto arrabbiare, improvvisamente perde il suo effetto. All’inizio, riesco a reprimere qualsiasi reazione fisica, trattenendomi dal serrare i pugni e dall’aprire la bocca. Con un po’ di ulteriore pratica c’è abbastanza forza da controllare persino i pensieri di rabbia e alla fine si raggiunge un livello in cui questo genere di pensieri non sorge nemmeno.

La situazione può rimanere la stessa, ma io sono cambiato. La forza che proviene dalla pratica della spiritualità e della meditazione mi permette di avere il controllo sul mio «regno» interiore. Ripristino il mio governo con i ministri principali: pensieri, parole ed azioni.

Benché il processo – pensiero, decisione, azione, impressione – possa essere sia positivo che negativo, se voglio cambiare la negatività in positività, devo fare due sforzi complementari. Devo:

  • · Verificare la qualità dei pensieri che provengono dalla mente.
  • · Evitare o modificare quelle azioni che producono effetti negativi.

 

Per verificare la qualità del pensiero in un dato momento, un esercizio utile è quello di chiedermi se quel particolare pensiero o desiderio è scaturito dai sanskars più profondi di pace o da quelli più superficiali della instabilità e della confusione. Questo sanskara/pensiero arrecherà maggiore inquietudine o dolore a me stesso o agli altri? Se la risposta è si, allora posso immediatamente escluderlo prima che abbia l’opportunità di entrare in azione.

Un altro aspetto importante è che devo lavorare contemporaneamente con i pensieri e con le azioni. La sola meditazione non mi cambierà la vita da un giorno all’altro. Ho bisogno di apportare miglioramenti anche alle mie azioni pratiche, per rafforzare la mia esperienza di meditazione.

Se trascorro 23 ore e ½ pensando solamente a cose banali o ad attività e obiettivi inutili, la mezz’ora che mi sono riservato per la meditazione non avrà alcun effetto. Probabilmente trascorrerò quei trenta minuti come una gallina che cerchi di volare. Una gallina non può volare perché il suo peso corporeo è maggiore di quello che le sue ali possono sopportare. Allo stesso modo, il peso dei pensieri inutili è tale che non riuscirò a staccarmi dal suolo. Dopo numerosi tentativi a vuoto, probabilmente finirò per concludere che la meditazione è inutile. Non è la meditazione che non funziona. È che non la pratico correttamente!

Devo addentrarmi nel funzionamento del sé per riuscire realmente a seminare i semi di cambiamento personale.

Dalla coscienza all’azione

Partendo dal livello della coscienza, come in una reazione a catena, si produce uno stato mentale che reca con sé una particolare emozione o stato d’animo. Questo forma immediatamente un’attitudine o postura mentale che diventa la base della visione o del punto di vista. Se, come risultato di questa sequenza, si compie un’azione, questa provoca un effetto corrispondente nel mondo fisico, che poi ha una ripercussione e produce una modificazione nello stato di coscienza.

Se c’è una irregolarità nel seme di questo processo (la coscienza), esso continuerà a fare l’intero percorso. Anche se l’intera sequenza avviene in una frazione di secondo, è possibile sezionarlo e analizzarlo.

Supponiamo che io stia camminando per strada e all’improvviso mi trovi davanti un cane randagio che la settimana prima mi aveva azzannato il fondo dei pantaloni. Ho immediatamente la consapevolezza di essere vulnerabile nei confronti dell’animale. Questa può essere influenzata dal ricordo di un’esperienza simile avvenuta in passato. Da questo ricordo si genera uno stato mentale che a sua volta produce l’emozione della paura. L’atteggiamento o postura interiore è quella di farmi piccolo e di proteggermi, amplificata dalla visione dei denti del cane tenacemente conficcati nella mia coscia e dall’immagine di me che scappo dalla scena. Questa scena viene successivamente trasmessa al corpo. C’è un impulso che attiva i muscoli, sostenuto da una scarica di adrenalina. Agisco per mezzo di una grossa spinta che spero mi allontani dal pericolo. Così facendo rafforzo il mio mondo del quale fa parte la paura dei cani. L’intero processo si svolge in uno o due secondi.

Non si tratta solo dell’effetto che ha la paura. Durante la giornata avrò altre emozioni. Così come lo stato emotivo produce modificazioni nel metabolismo e nel mondo circostante, analogamente io influenzo il mondo che mi circonda, e ne vengo influenzato, ogni secondo della giornata.

Il mondo diventa come noi lo vediamo

Tutte le città, le strade, gli edifici, le case, i sistemi sociali, economici e politici sono elaborazioni di menti individuali, concretizzate nella realtà pratica. Siamo circondati da un mondo che è il risultato del contributo di pensieri, atteggiamenti e visioni di milioni di individui, passati e presenti, che hanno trasformato in realtà ciò che era stato visualizzato solo mentalmente. Quando osserviamo la reazione a catena precedente, dalla coscienza all’azione, inevitabilmente giungiamo alla conclusione che i problemi che esistono nelle nostre esistenze personali e collettive sono la conseguenza di qualcosa di interiore.

Se ho una visione negativa di me, vedrò gli altri negativamente. Le scene e le situazioni che creo intorno a me in questa coscienza saranno altrettanto negative. Molte volte, quando cerco di compensare queste negatività, riesco solo a perpetuarle.

Realtà soggettiva

Attualmente si dà moltissima importanza a quella che viene chiamata Legge di Attrazione, il grande «Segreto» della vita umana. Questa Legge afferma semplicemente che attraggo nella mia vita qualsiasi cosa a cui è rivolto il mio pensiero. Ciò significa che la mia coscienza prevalente troverà la maniera di manifestarsi nella realtà concreta. Osservando l’immagine precedente si può facilmente capire come funzioni.

L’implicazione di questa immagine mostra anche qualcosa che a molti può sembrare inquietante. Essa mette in evidenza la natura relativa e limitata della mia stessa realtà soggettiva. C’è solo una fonte dell’intenzione e quella sono io. Io creo e interagisco con una realtà che sono io stesso a produrre. Senza un nuovo elemento, diciamo proveniente da una sorgente più elevata come Dio, sono condannato a muovermi continuamente in tondo senza mai vedere realmente gli altri e il mondo come sono realmente; continuo solo a osservare, proiettare e reagire ad essi come sono io.

Anche se percepisco molti corpi che camminano e parlano, che sono i miei amici, i parenti e i colleghi che mi circondano, io li vedo solo attraverso il filtro della mia coscienza e quasi mai come essi sono realmente. In questo senso, è come se esistessero solamente dentro la mia testa. I sogni funzionano alla stessa maniera, ma non mi sono ancora reso conto che la mia realtà da sveglio è solo un altro tipo di sogno, nel quale coscienze individuali smuovono la materia e producono eventi che ci influenzano in maniera diversa a causa della implicita soggettività di ciascuno. La materia a livello quantico ne è la prova. Essa sembra solida solo perché io credo che sia così.

Intelletto e visione

L’intelletto ha un ruolo importante nel funzionamento della visione. Esso cerca informazioni dentro e fuori di sé e le proietta sullo schermo della mente. Se non c’è un vero obiettivo o scopo, l’intelletto brancola senza una meta alla ricerca continua di un senso e di un significato.

Allo stesso modo in cui le fasi lunari creano le maree dell’oceano attirando l’acqua verso di sé, dovunque l’intelletto vada, lo stato emotivo lo segue. Gli stati d’animo sono come le maree del sé.

Di recente sono stato in Russia dove ho fatto un’esperienza molto interessante. La lingua russa è molto difficile e l’unica parola che fui in grado di imparare fu «grazie». Cominciai a giocare con questa idea. Non riuscivo a capire quelli che mi stavano intorno, qualunque cosa mi dicessero. Avrebbero anche potuto discutere di una questione della massima importanza, e il mio unico contributo era quell’unica parola: «grazie». Poiché non avevo sanskars o tracce di lingua russa registrate dentro di me, potevo rimanermene in silenzio e interpretare le cose a mio piacimento.

Allo stesso modo, se il mio intelletto si fissa sui difetti di qualcuno e genera, per esempio, il pensiero: «questo tizio è molto intollerante», ciò mostra anche la misura della mia intolleranza. Significa che interiormente io parlo il linguaggio dei difetti. L’intolleranza dell’altro non fa che riverberare la mia stessa intolleranza. Se quando vedo i difetti degli altri vengo influenzato negativamente, è perché dentro di me ho gli stessi difetti. Quando impariamo a rispettare di noi stessi, prendiamo le distanze dal linguaggio delle debolezze.

Superiorità, inferiorità e rispetto di sé

Vi sono tre forme di comportamento con molte varianti. Sia il complesso di superiorità che quello di inferiorità sono facce della stessa medaglia dell’ego, mentre il rispetto di sé mantiene l’equilibrio interiore. Mettiamoli a confronto.

Superiorità

Significa considerarsi pieni di virtù o più importanti, e ritenere che gli altri siano incompetenti e pieni di difetti.

Facendo riferimento al disegno precedente, la sequenza è la seguente:

  • · Coscienza: Io sono così e così; conosco molte cose, ho molti talenti.
  • · Stato mentale: Euforia di superiorità o supremazia.
  • · Atteggiamento mentale: Falsa fiducia in sé: io sono il migliore, gli altri non sono al mio stesso livello.
  • · Visione: Diretta verso i difetti degli altri.
  • · Azione: È intossicata da questa fiducia.
  • · Risultato: Se c’è successo, l’illusione della superiorità ne viene rafforzata; se c’è fallimento, gli altri vengono visti come quelli su cui far ricadere la colpa.

Inferiorità

Significa considerarsi incapaci e privi di qualità e ritenere gli altri virtuosi. Ecco la sequenza:

  • · Coscienza: Sono debole, non valgo quanto gli altri, sono incapace.
  • Stato mentale: Paura, timidezza e inibizione.
  • · Atteggiamento mentale: Non riuscirò a eseguire bene questo compito.
  • · Visione: Gli altri sono migliori di me, ne vengo impressionato o sono geloso di loro.
  • · Azione: Viene svolta senza fiducia e dipendendo dagli altri.
  • · Risultati: Se c’è fallimento, il senso di inferiorità viene rafforzato; se c’è successo, esso viene facilmente attribuito ad altri senza coglierne il contributo personale.

Rispetto di sé

Mi fa vedere e apprezzare le mie virtù e quelle degli altri. Ecco la sequenza:

  • · Coscienza: Sono un essere spirituale, la mia vera natura è pace. Interpreto i miei ruoli con questa consapevolezza.
  • · Stato mentale: Serenità e senso di responsabilità.
  • · Atteggiamento mentale: Fiducia in sé genuina.
  • · Visione: Anche gli altri sono esseri di pace che hanno i loro ruoli; c’è rispetto per quelli che si sforzano di migliorare e compassione per quelli che non lo fanno.
  • · Azione: Viene compiuta con amore, calma e sicurezza.
  • · Risultati: Se c’è successo, la gioia viene condivisa con gli altri, c’è spirito di cooperazione. Se c’è fallimento non ne vengo scoraggiato; la volontà di andare avanti e imparare persiste.

Perseveranza nella meditazione

All’inizio, la meditazione Raja Yoga è una forma di comunicazione che il meditante attua con il proprio sé. Non può essere forzata, ma è importante che ci sia continuità onde superare gli ostacoli interni, esterni e l’indolenza che emergono al fine di ostacolare il progresso spirituale. È un’esplorazione del mondo interiore che è rimasto virtualmente sconosciuto per lungo tempo.

Meditazione 3

Mettiti seduto comodo e rilassato con la schiena diritta ma non rigida. Concentra l’attenzione sulla zona dietro gli occhi, al centro della fronte, dove è situata la coscienza. Lascia scorrere i pensieri normalmente senza fare alcun tentativo di fermarli. Diventa semplicemente l’osservatore di ciò che sta avvenendo dentro di te. Cerca di mantenere questa posizione di osservatore del processo del pensiero per alcuni minuti, e studia in che modo nascono, vengono sperimentati e osservati simultaneamente. Dopo aver identificato le tre facoltà: sanskars, mente e intelletto, puoi cominciare a vedere che cosa accade quando i pensieri elevati vengono creati consciamente:

Io sono un’anima… Un piccolo centro di energia luminosa al centro della fronte… Percepisco di essere veramente il padrone del mio corpo fisico… il controllore di tutte le mie azioni…

Osservo il mare di esperienze… così tante impressioni diverse dentro di me… Sento che sotto la superficie di questo mare, nelle sue profondità vi sono tesori di pace e potere spirituale… Mi immergo per portare alla luce questa esperienza di pace…

Rivolgo di nuovo l’attenzione alla zona al centro della fronte con questa tranquillità riscoperta… Mi sento completamente stabile nella consapevolezza che sono un essere spirituale e che l’ essenza della mia natura è pace… Come un minuscolo sole cosciente… irradio luce in tutte le direzioni… la luce della mia pace… Rimango ancora per qualche istante immerso nel silenzio del mio stato naturale… e ritorno alle mie attività.

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