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Non Prendere Sofferenza

pubblicato il 05/01/12


 
 
Sr Kiran spiega la differenza tra dolore e sofferenza, perché non dobbiamo assumere la sofferenza altrui e soprattutto come evitare di cibarcene!

“Fa agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te” “Non giudicare se non vuoi essere giudicato”.

Avendo ricevuto un’educazione Cristiana, la saggezza della Regola d’Oro e dei suoi derivati hanno costituito gran parte della mia comprensione di come la vita doveva essere vissuta. Ho anche ereditato una visione abbastanza limitata del mio valore e un acuto senso dei miei difetti, il che significava che la mia peggiore paura era quella di essere criticata e giudicata. Perciò mi sono sforzata in modo particolare di essere non giudicante e di perdonare, sperando che così ‘sarebbe stato fatto’ anche a me.

Ogni volta che mi veniva fatto qualcosa che mi procurava sofferenza, la aggiungevo al paesaggio interiore della mia bassa autostima, perché credevo che il mio destino fosse la sofferenza. Il mio motto inconscio era “Mea Culpa”. Ma spesso il mio sentimento immediato era “Questo non me lo merito!”. Sapendo che “come seminavo, così avrei mietuto,” mi trattenevo deliberatamente dal restituire sofferenza. Però in silenzio biasimavo e brontolavo contro la persona che ritenevo fosse responsabile, augurandole sofferenza segretamente.

So di non essere l’unica a farlo! Quante volte ci chiudiamo la bocca e accusiamo gli altri nella nostra testa. Accusiamo e biasimiamo attraverso i nostri pensieri abbozzando un sorriso. Oppure depenniamo una persona dal ‘nostro libro’ e gradualmente troviamo scuse per evitare la sua compagnia. Pensiamo che ciò non sia importante perché non c’è prova ‘evidente’ che abbiamo effettivamente danneggiato qualcuno. Ci sentiamo giustificati nel nostro giudizio e non consideriamo mai che c’è un prezzo da pagare per averlo fatto. Molto spesso non ci accorgiamo nemmeno di aver emesso un giudizio. Ci sembra che il nostro comportamento sia così ‘giusto’, così corretto. Quando persino le nostre relazioni più strette non funzionano molto bene, non consideriamo mai che il nostro atteggiamento mentale abbia qualcosa a che fare con questo.

La mia continua ricerca della saggezza mi ha condotta, alla fine, oltre gli insegnamenti della fede Cristiana, oltre le predazioni in molti altri studi religiosi, filosofici ed esoterici e lungo un sentiero più spirituale sul quale vi sento a mio agio da più di 27 anni. Ho imparato (e ancora sto imparando) che il dolore non è il mio destino fondamentale, quanto piuttosto una condizione temporanea che ha un inizio ed una fine . Ho acquisito una conoscenza di me stessa che include una visione positiva e più sana della mia natura originale; una comprensione che mi incoraggia ad accettare i miei difetti senza negare il mio valore in quanto individuo. Abbastanza stranamente, ho scoperto che la accettazione compassionevole dei miei difetti è il pre-requisito per superarli.

Poco dopo l’inizio del precorso, ho incontrato lo slogan: “Non dare sofferenza, non prendere sofferenza”. “Che strano contorcimento della Regola d’Oro è questo? Mi chiedevo. La seconda parte di questo imperativo mi confondeva perché, benché riuscissi a comprendere che la sofferenza mi sarebbe tornata indietro se avessi voluto sbarazzarmene, benché riuscissi ad accettare la responsabilità di trattenermi dal nuocere a qualcuno, non riuscivo ad afferrare come fosse possibile evitare di prendere sofferenza. Per quello che potevo vedere, la sofferenza arriva senza invito come parte della vita.. Non riuscivo a vedere la connessione tra ciò che ricevevo con ciò che avevo fatto agli altri. Il prendere sofferenza non è una condizione umana naturale?


Gradualmente, due aspetti della conoscenza spirituale mi hanno aiutata a dare un senso alle implicazioni di questo motto. Il primo è una profonda comprensione della grande Legge del Karma, la cui essenza è racchiusa nella Regola d’Oro. Cominciai a rendermi conto che persino il movimento dei miei pensieri e sentimenti sono sottili azioni e reazioni, anch’esse soggette alla Legge del Karma.

Gary Zukav , nel suo pionieristico libro: La Dimora dell’Anima, spiega il karma con grande chiarezza.: “Ogni azione, pensiero e sentimento è motivato da una intenzione, e quella intenzione è una causa che esiste come tutt’uno con un effetto. Se partecipiamo alla causa, non è possibile non partecipare all’effetto. In questo modo molto profondo, siamo ritenuti responsabili di ogni nostra azione, pensiero e sentimento, vale a dire, di ogni nostra intenzione. Saremo noi a condividere il frutto di ogni nostra intenzione. Pertanto, è saggio da parte nostra divenire consapevoli delle molte intenzioni che informano la nostra esperienza, per distinguere quali intenzioni producono determinati effetti, e scegliere le nostre intenzioni a seconda degli effetti che desideriamo produrre….

Ogni causa che non abbia ancora prodotto il suo effetto è un evento che non è ancora giunto a compimento. E’ uno scompenso energetico che è in fase di riequilibrio”.

Il Karma funziona secondo la terza legge della dinamica di Newton: Per ogni azione c’è una reazione uguale e contraria” Tuttavia, secondo Zukav, il karma è “una dinamica energetica impersonale”.

“Il karma non è una dinamica morale. La moralità è una creazione umana. L’Universo non giudica. La legge del karma governa il riequilibrio dell’energia all’interno del nostro sistema morale e di quello dei nostri vicini. Essa serve l’umanità in quanto maestra Universale e impersonale di responsabilità”.

Poiché è una “dinamica energetica impersonale”, non è solo un semplicistico riequilibrio energetico
che ha luogo, come in “occhio per occhio, dente per dente” o “rendere pan per focaccia”. Ecco perché il cercare di “regolare i conti” non funziona. Cercare di andare a pareggio in questo modo crea un karma in più, o, a detta di Zukav: “un altro scompenso energetico che a sua volta deve essere riequilibrato.”

Il secondo aspetto della conoscenza spirituale che mi aiuta a comprendere “Non dare sofferenza, non prendere sofferenza” è il concetto di reincarnazione il quale dice che la dinamica dell’energia karmica riequilibratrice del mio viaggio come anima immortale continua nel tempo e attraverso numerose vite. Questo spiega perché la connessione tra un effetto e la sua causa sottostante non combacia con ciò che Zukav chiama la personalità “dei cinque sensi” o con quella che si potrebbe chiamare ‘la coscienza di corpo’ Ciò significa anche che tutto ciò che va, alla fine ritorna, senza eccezioni.

Quando mi resi conto che nulla può sottrarsi alla legge del karma, divenni anche più attenta a sospendere i giudizi e a impedire che le emozioni negative venissero dirette verso chiunque, indipendentemente da ciò stesse facendo. Attualmente, tuttavia, mantengo questa cautela non per timore di ciò che gli altri potrebbero farmi, ma di ciò che io potrei fare a me stessa. Gradualmente sto arrivando ad accettare che qualsiasi sofferenza mi arrivi è l’effetto di un evento che io stessa ho messo in moto; che sto consumando il frutto di qualche mia intenzione passata.

Ma, rimane ancora la domanda: ”Come faccio a non prendere sofferenza?”

Per prima cosa distinguiamo tra dolore e sofferenza. Che non siano la stessa cosa è dimostrato dall’uso frequente dell’espressione ‘dolore e sofferenza’. Il dolore è un segno o sintomo che ci dice che qualcosa va male, che c’è uno squilibrio in atto, e che c’è bisogno di sanarlo. Non è lo squilibrio o la malattia in sé.

Nella nostra cultura, siamo condizionati ad evitare il dolore a qualsiasi costo. Questo perché non abbiamo compreso il dolore. Facendo andar via il dolore, sia per mezzo di farmaci, alcool, lo sfogo della rabbia, il superlavoro o altri comportamenti disfunzionali, stiamo solamente trattando i sintomi e non la causa sottostante al dolore. In realtà stiamo sopprimendo il dolore. Prima o poi qualsiasi cosa repressa o negata accumula pressione ed erompe, di solito in forme più gravi. Non importa se abbiamo a che fare con il dolore nel corpo. il dolore nelle relazioni, il dolore tra ciò che si ha o non si ha, o il dolore tra razze e nazioni.

La sofferenza è qualsiasi reazione emotiva al dolore. E’ la depressione che accompagna una malattia cronica; il lutto che accompagna una perdita, sia che si tratti della perdita della faccia o la perdita di un amico. E’ la paura e la diffidenza che seguono il dolore per essere stati ingannati, la giusta indignazione che infiamma quando si è insultati, la rabbia che segue lo sconforto per essere stati manipolati.

La guarigione inizia quando accetto il dolore. Il karma si crea quando esterno la sofferenza o qualche altra emozione negativa che accompagna il dolore.

Accettare il dolore non significa invocarlo. E neppure significa semplicemente tollerarlo o sopportarlo. Significa fare una connessione tra il dolore e la causa karmica sottostante. Per guarire, devo permettere a me stessa di sentire il dolore, il colpo, non per restarci, ma per prenderne atto e capire che cosa sta cercando di dirmi. Posso alleviare il dolore prendendo pillole, confidandomi con qualcuno che mi voglia bene e di cui mi posso fidare, elaborando e trasformando le mie emozioni attraverso la meditazione, andando da un consulente o con altri mezzi. Ma se voglio realmente guarire, non posso negarlo, evitarlo, o razionalizzarlo. E di sicuro non guarirò se prendo sofferenza dal dolore accumulando biasimo, giudizio, colpa, rabbia e recriminazione su di me o sugli altri per questo. Perché se faccio così aggiungerò ulteriore danno alla ferita, dando asilo a malumori e risentimenti, oltre ad esaurire la mia vitalità spirituale.

Posso imparare ad accettare il dolore e risanare i miei squilibri karmici solo quando ho un forte senso del mio valore e merito in quanto essere umano. Non devo solamente capire le cause e come trattare lo squilibrio, ma devo anche conoscere come rafforzare me stessa in quanto essere umano completo.

“Un momento”, potresti pensare. “Va tutto bene, ma quello che mi ha ferito non ha alcuna responsabilità? Devo proprio diventare martire? Dov’è la giustizia in tutto questo?”
La Legge del Karma garantisce che viviamo in un universo giusto. Devo ricordare che chiunque stia facendo del male a me riceverà di ritorno in pari misura ciò che lui o lei stanno facendo –non da me, ma da qualcuno, da qualche parte. Alla fine, lui o lei sperimenteranno inevitabilmente la sofferenza che sto ricevendo ora. Ma questa conoscenza mi rende più felice? Mi dà soddisfazione? Penso: ”OK, hai fatto così e così, e un giorno riceverai la tua parte!” Se così è, allora è come se stessi augurando alla persona che mi ha ferita la sofferenza che sto provando. Ci rimandiamo avanti e indietro dolore e sofferenza come una pallina da tennis. La sofferenza che sto augurando alla fine atterrerà nel mio campo. Una azione migliore è la compassione. Mi permetto di pensare: ”Possano mai sperimentare la sofferenza che sto provando io adesso”. Permettiamoci, come ha fatto Gesù, di perdonarli –poiché non sanno quello che fanno. Questa intenzione blocca il palleggio e il gioco.

Una comprensione approfondita del Karma ci può offrire una prospettiva che Zukav chiama “giustizia non giudicante”. La giustizia non giudicante ti solleva dal compito che ci assumiamo di giudicare ed emettere sentenze perché sai che tutto viene visto –nulla sfugge alla legge del karma- e ciò genera comprensione e compassione. La giustizia non giudicante è libertà di vedere ciò che vedi e di sperimentare ciò che sperimenti senza reagire negativamente.


Se non do dolore né prendo dolore, che persona diventerò? OK, forse non sarò non giudicante, ma diventerò insensibile verso gli altri? Non è importante essere empatici con il dolore di un altro, sperimentarlo come fosse il mio? C’è un detto: ”Condividere la felicità la raddoppia, condividere il dolore lo dimezza”. Ne deriva che se tutti condividessimo il dolore reciprocamente ci sarebbe meno dolore nel mondo? No, siamo onesti. Sentire il dolore di un altro fa sentire me più vivo e coinvolto di quanto non arrechi sollievo al dolore di un altro.

A volte prendo sofferenza da ciò che è accaduto in passato. Lo ricordo, lo rivivo, lo rimpiango, ne provo rimorso. Si potrebbe pensare che questo potrebbe essere un modo per riequilibrare l’energia, ma in realtà, ne consuma di più, perché non sto generando nulla di positivo con la mia energia nel presente. Qualsiasi cosa io abbia necessità di affrontare dal passato, prima o poi si rivelerà nel presente, perciò non ho bisogno di ritornare continuamente nel passato per ricordarmene. Molte tradizioni religiose parlano delle terribili conseguenze del guardare indietro. Vi sono modi di guarire molto più positivi. Come una persona malata può cambiare la sua dieta e iniziare un programma di attività fisica, altrettanto posso fare io per sostenere me stessa con pensieri e sentimenti positivi, ed impegnarmi in azioni positive e altruistiche. Questo è un modo relativamente indolore per correggere squilibri karmici passati persino da molto tempo.

A volte prendo sofferenza da cose che non mirano a causarmi sofferenza. Qualcuno inavvertitamente fa qualcosa ed io comincio ad interpretare le azioni della persona e montare un caso contro di lui o lei. Poi, alla fine, giudico/decido il caso ed emetto il verdetto: ”Lui o lei è così o cosà”. Imparare a non prendere sofferenza significa anche imparare come essere meno suscettibili o vulnerabili, come non prendere le cose personalmente.

La permalosità che riflette un temperamento irritabile o fragile che si offende facilmente nasce dalla insoddisfazione verso se stessi, da una scarsa autostima. E’ questa suscettibilità che mi convince di essere una vittima, che poi mi porta via la consapevolezza di me, trasforma la mia abilità di rispondere in reattività e mi depotenzia.

Quindi, come si fa a non prendere sofferenza? Sviluppa un relazione compassionevole con te stesso, un forte senso del tuo proprio valore. Presta attenzione ai messaggi dei tuoi sentimenti, impara dal tuo dolore, accetta la responsabilità del tuo karma. Perdona gli altri e invia loro solamente buoni auspici e vibrazioni positive, Lascia il passato al passato, resta compassionevole ma non influenzato dal dolore degli altri, evita di prendere le cose personalmente.
In tutte le tradizioni ci sono memorie e visioni di un mondo libero dal dolore. Abbi fiducia che un giorno diventerà realtà e che possiamo realizzarlo più rapidamente se la smettiamo di dare e prendere sofferenza. Decidiamo di dare e prendere solamente felicità.

Suggerimenti per alleviare il dolore e smettere di prendere sofferenza.

• Quando succede qualcosa di doloroso, considera la sofferenza come un messaggero. Osserva le tue reazioni emotive e considerale come qualcosa che hai fatto sentire a qualcuno in passato. Ama il dolore perché ti fa conoscere e perdonare te stesso. Invia alla persona che ti sta facendo male amore, perdono e auspici puri e buoni.
• Sii positivo nelle tue azioni. Sii colui che impedisce al dolore di aumentare. Realizza l’eccellente ritorno karmico che creerai facendo così.
• Non soffermarti sul dolore, le affermazioni offensive ecc; controlla i pensieri.
• Non trattenere interiormente i sentimenti dolorosi. Lasciali uscire in un ambiente sicuro dove non recheranno danno ad altri. Per esempio, va' sulla riva del mare e lancia sassi nell’acqua, fa' una passeggiata in montagna e ulula alla luna. Oppure confida il tuo problema a qualcuno che sai che non verrà influenzato da ciò che gli dirai, non lo dirà agli altri né lo userà contro di te.
• Osserva i tuoi problemi da una prospettiva più ampia e realistica.
• Lascia che il passato sia passato
• Smuovi l’energia! Metti una musica vivace e canta o balla.
• Trova qualcuno che ti faccia ridere o sorridere. Trascorri un po’ di tempo con un bambino.
• Pulisci la stanza o un armadio o la cantina. Apri le finestre e lascia entrare luce e aria fresca
• Creati un buon karma. Dona e prendi solamente felicità.

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Commenti

Icona utente Silvia il 21/02/17
Grazie Elena per il tuo apprezzamento, un caro saluto, Silvia
Icona utente elena il 21/02/17
Mi è piaciuto molto questo articolo e mi è stato molto utile. Vi ringrazio di cuore!

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