pubblicato il 27/08/12

C’era una volta un orsetto che viveva nei boschi. Un giorno, mentre giocava, si imbatté in due tassi. Voleva giocare con loro, ma loro non volevano giocare con lui. Volevano fare la lotta. E così fecero. Continuarono a prendere in giro il piccolo orsetto ogni giorno per una settimana. Poi, un giorno, i tassi smisero di venire. E lui non vide più altri tassi per il resto della sua vita.

L’orsetto crebbe ed ebbe il suo orsetto. E la prima cosa che insegnò al suo piccolo fu che i tassi erano brutti, cattivi e violenti. E così quell’orsetto crebbe con la paura dei tassi, sperando di non incontrarne mai uno. Anche suo padre, ricordando le sue lotte con i tassi di quando era piccolo, diceva: “Ti auguro di non incontrare mai un tasso, quelle creature orribili e birbanti. Non li dimenticherò mai”.

Per anni, mentre l’orsetto cresceva e girovagava per la foresta, almeno una volta al giorno pensava: “Spero proprio di non incontrare un tasso. Spero di trascorrere una giornata senza tassi.” E mentre così pensava speranzoso, aveva paura dei tassi. Poi, un giorno fatale, incontrò tre tassi. Saltarono improvvisamente da un cespuglio giocando e ridendo tra di loro. L’orso si fermò e rimase paralizzato alla vista dei tassi. Il suo unico pensiero fu:” Oh, no! I TASSI!” Quando i tassi lo videro smisero di ridere. Anch’essi rimasero immobili, come paralizzati. Poi, squittendo per lo spavento, si rifugiarono di nuovo tra i cespugli.

L’orso rimase sorpreso. Ma ci volle poco per capire il perché. In effetti era cinque volte più grosso dei tassi. Era un gigante agli occhi dei tassi. Da quel giorno in poi non temette più i tassi. Né mai più sperò di non incontrare tassi.

E la morale della storia? Vivere nella speranza è come vivere nella paura. La speranza è solo un tentativo di dare un aspetto positivo ad una preoccupazione!

Vivere nella Speranza

Sperare che qualcosa avvenga è anche un bel modo per evitare di FARE qualcosa affinché le cose avvengano o non avvengano. Quelli che sono a capo di una squadra sportiva, quelli che sono in affari, le persone in carriera, quelli che devono gestire una famiglia, non si mettono seduti sperando per il meglio, ma si alzano e creano il meglio. Essi fanno accadere il meglio perché sanno di poterlo fare. E questo è proprio il senso dell’espressione chiave: sapere di potere. Potrebbe essere questa la ragione per cui tanti decidono di accontentarsi della speranza? Vivono nella speranza perché ancora non SANNO di potere. Nel caso migliore hanno imparato a dubitare di loro stessi e in quelli peggiori hanno imparato a credere di non potere!
L’orso aveva imparato a credere che i tassi erano più grossi e più forti e quindi la sua speranza era fondata sull’ignoranza. E l’ignoranza genera paura. Non appena si rese conto di essere molto più grosso e più forte la speranza divenne irrilevante, l’ignoranza svanì.

La speranza dice: FORSE un giorno potrò . Ma fino a quando viviamo nella speranza soltanto, è improbabile che quel giorno arriverà. E se dovesse arrivare, è probabile che sia troppo tardi!
Un po’ più in là si trovano quelli che non sono sicuri di potere, ma non sono pronti ad assumersi il rischio (paura) di scoprire se lo sono, oppure di cominciare ad imparare come esserlo. Tutti abbiamo conosciuto questo stato qualche volta.

Sperare in qualcosa di meglio di adesso!

Perché viviamo di speranza? Perché pensiamo e diciamo di nutrire grosse speranze? Perché speriamo in un futuro più radioso? Perché non ci piace come sono le persone e/o come sono le situazioni al momento. Temiamo che il modo in cui le persone e le situazione sono al momento possano continuare. Ci troviamo in uno stato di resistenza alle circostanze in cui ci troviamo oggi. Perciò speriamo in un domani migliore. Ma la speranza ci rende pigri. E’ più facile sperare che fare concretamente qualcosa che possa creare il domani che diciamo di volere. Quindi la speranza diventa una zona comoda nella quale è facile rifugiarci. Solo le nostre azioni possono creare il modo per uscirne, un modo oltre la speranza, un modo oltre l’effetto paralizzante della paura, che è sempre sottostante alla paura.

Invece possiamo semplicemente imparare ad accettare il modo in cui sono le cose nel momento presente, non come resa sfiduciata, ma attingendo alla saggezza che ci ricorda che l’accettazione del modo in cui sono le cose al presente è il primo passo per invocare ed influenzare un cambiamento futuro.

Sperare che non ci capiti qualcosa di male in futuro.

Altrimenti conosciuta come preoccupazione! La preoccupazione è semplicemente paura di perdere in futuro qualcosa che adesso ci piace (= alla quale siamo attaccati). Ci creiamo un futuro immaginario nel quale quel benessere svanisce.. Per questo processo mentale abbiamo molto materiale dal quale trarre idee e immagini di catastrofi immaginarie, e quindi impaurirci da soli fino a una paralisi che ci impedisce qualsiasi azione. Gran parte di questo materiale proviene dalle informazioni giornalistiche e dalle industrie dell’intrattenimento che sono sempre pronte a somministrarci gli ultimi eventi più cupi infarciti di visioni pessimistiche!

Sperare che otterremo ciò che vogliamo…alla fine!

Così come sperare che non accada qualcosa di brutto è in realtà paura camuffata da speranza, così attendere di ottenere esattamente ciò che vogliamo è di solito desiderio camuffato da speranza. Però non è facile vedere che tutti i desideri sono solo un modo per ritardare la nostra felicità! Ciò deriva dal credere che è solo quando otterremo ciò che vogliamo che potremo essere veramente felici. Sperare significa che nelle condizioni migliori stiamo vivendo il domani come se fosse oggi , il che non è un vero vivere, ma più un evitare di vivere. Nelle condizioni peggiori cerchiamo proprio di vivere il futuro, il che è folle perché è impossibile.

Ci sono momenti in cui la speranza ha un posto, un valore? Ci sono delle volte in cui la speranza dia forza? Talvolta sentiamo o leggiamo storie vere di persone bloccate in situazioni impossibili e apparentemente disperate, forse in attesa di essere salvati in mare o su una montagna. Questi spesso dicono:”E’ stata la speranza che ci ha tenuto in vita”. Ma in queste situazioni la speranza è solitamente quell’ultimo pensiero che sorge dopo che tutte le possibilità di sopravvivere o di farcela sono state esaurite. Essa allevia momentaneamente i sentimenti di impotenza.

Tutto ciò ci ricorda di domandarci, ogni qualvolta ci troviamo a dire o a pensare :”Spero…”, se abbiamo veramente esaurito tutti i modi possibili di creare una via d’uscita. Se abbiamo esaminato tutte le possibili prospettive e percezioni che possano permetterci un significato diverso da quello che è all’origine dei nostri sentimenti di disperazione.

Infine ci sono quei momenti in cui diciamo all’altro:”Nutro grandi speranze per te” Suona molto positivo e tuttavia, una volta decodificato, il messaggio di solito vuol dire grandi aspettative le quali a loro volta di solito significano desiderio. Ne siamo testimoni ogni anno nel campo dello sport quando abbiamo grandi speranze collettive per i nostri eroi sportivi. E quando essi non sono all’altezza delle nostre speranze ci troviamo emotivamente sofferenti Le nostre speranze vengono frantumate dal loro fallimento, il che significa che stiamo vivendo in delega e che stiamo ancora una volta perdendo la nostra vita!

Che cos’è quindi la disperazione?

La demoralizzazione è quel sentimento che nasce dal credere che la situazione non abbia possibilità di migliorare e che probabilmente tenderà a peggiorare di molto. E’ la credenza che non c’è nulla che possiamo fare per ottenere un cambiamento. “Non c’è speranza”, è spesso ciò che sentiamo e ci diciamo quando ci troviamo allo stremo. E’ il momento in cui decidiamo di cedere a noi stessi o a un altro o alla situazione.

Talvolta questi pensieri e sentimenti sono appropriati. Non sono segno di una caduta verso il basso, ma di una liberazione, Di solito è quando arrendersi significa in realtà lasciar andare in relazione a qualche situazione o anche ad una relazione, per esempio:” Non c’era speranza, e perciò ho smesso di convincerli o di far loro fare ciò che volevo”. Oppure, “Era un tentativo disperato e perciò ho lasciato andare l’idea di avere un milione entro la fine del mese”. In tali contesti, anche se può esserci un senso di perdita, questo è bilanciato da un senso di liberazione da una pressione auto imposta.

In fondo alla disperazione.

Ma molte persone provano veramente un profondo e misterioso senso di disperazione, non in situazioni specifiche ma in relazione alla vita e all’esistenza in generale. Può essere uno dei sintomi principali di depressione. In tali casi denota mancanza di benessere, è un sentimento di pesantezza accompagnato da una completa mancanza di entusiasmo verso qualsiasi cosa. Viene descritto da molti come un avere lo sguardo fisso su un abisso buio. E’ come se ci fosse una grossa voragine nell’anima.

Tuttavia, come tutte le forme di sofferenza, essa segnala che bisogna cambiare qualcosa, non nei confronti del mondo, ma dentro noi stessi. Questo qualcosa ha sempre a che fare con la consapevolezza e la comprensione di sé . Liberarci dai sentimenti di profonda disperazione significa liberarci dalla dipendenza dagli altri o del mondo per il nostro senso di benessere. Stare bene non inizia dal nostro corpo ma dalla nostra testa e dal nostro cuore. Non il cuore fisico, ma il cuore della nostra essenza. Il senso di disperazione sorge perché abbiamo perso di vista l’illimitato potere creativo che abbiamo e che siamo. Diveniamo ignoranti della straordinaria bellezza che abbiamo e che siamo…interiormente. Abbiamo perso la consapevolezza che siamo i padroni del nostro destino.

Quindi, l’opposto di disperazione, o la cura per la disperazione, non è la speranza, ma la realizzazione che siamo spiriti liberi, legati a niente e a nessuno, dipendenti da niente e da nessuno; che noi siamo non solo in grado di creare il nostro destino, ma, in realtà, è quello che siamo venuti a fare qui. Nel momento in cui traduciamo in azione questa presa di coscienza, la disperazione svanisce, e si conosce la speranza per ciò che è: un falso senso di forza.

La cura definitiva per la disperazione è la realizzazione che nulla ci può travolgere, che non c’è nulla che non possiamo fronteggiare o gestire, nulla che non possiamo fare. Che non siamo come l’orsetto (piccolo e spaventato) ma l’orso adulto che è molto più grosso di tutti i tassi della foresta. Noi tutti siamo più grandi di qualsiasi situazione o circostanza a cui far fronte. Da qui la saggezza dell’antico detto: La vita non ti chiederà mai di far fronte a qualcosa che non sei in grado di gestire. E’ solo che a volte non ci rendiamo conto della nostra capacità e la vita ci lancia l’opportunità di riscoprirla.

Quindi, sia la speranza che la disperazione sono entrambe malanni della coscienza. Sono sintomi di un disagio profondo e nascosto chiamato ignoranza. L’ignoranza di noi stessi. Questi indicano che stiamo vivendo in uno stato non realizzato, cioè che non sappiamo quanto siamo potenti! Sia i sentimenti di speranza che di disperazione ci stanno dicendo: “E’ tempo di diventare più auto-consapevoli”. Apri gli occhi alla tua capacità, al tuo potere, alla tua intrinseca grandezza. Sotto la guida di qualcuno che conosce questo territorio interiore è possibile giungere alla visione e alla conoscenza di sé che ridona forza interiore ai nostri muscoli spirituali!

Allora, la speranza sarà conosciuta e usata per ciò che è: un sollievo temporaneo dalla disperazione, il minore dei due mali, e forse un trampolino dal quale lanciarci verso una nuova azione, verso una nuova vita.

Domanda: Che cosa speri per te stesso, per gli altri e per il mondo?

Riflessione: Perché speri ciò che speri?

Azione: Che cosa puoi fare TU per liberarti dal bisogno di avere speranza o di sentirti senza speranza?

 

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