pubblicato il 10/04/11
C’era una volta nella città di Uggiaini, un brahmino chiamato Harischvami, il quale aveva una figlia bellissima, chiamata Somaprabha, cioè “Albor-di-Luna”.
Quando giunse in età da marito, aveva molto pretendenti, ma disse al padre, alla madre e la fratello: “Desidero essere data in sposa a colui che mi recherà il miglior dono”.
Pochi giorni dopo Harischvami fu mandato dal re a compiere una missione alla Corte di un altro re nel Dakkan. Là incontrò un giovane brahmino di nobile stirpe, il quale aveva sentito parlare della bellezza di Albor-di-Luna e disse al padre suo che desiderava sposarla.
“Mia figlia – rispose Harischvami – ha dichiarato che sposerà colui che le recherà il miglior dono.”
“Ebbene vieni con me” - disse il giovane e condusse Harischvami in un luogo deserto. Poi tracciò alcuni segni magici nell’aria e sul terreno comparve un cocchio alato.
“Vedi - spiegò il giovane - io sono mago e posso recare in dono a tua figlia questo cocchio alato, che vola per l’aria con la rapidità di un baleno”.
“Va bene, - assentì Harischvami – ti prometto mai figlia in sposa”.
Durante l’assenza del marito, alla madre di Albor-di-Luna si era presentato un altro pretendente alla mano della fanciulla ed ella gli aveva palesato la risoluzione della figlia di sposare colui che le avrebbe recato il miglior dono.
“Io reco in dono la mia scienza di indovino” – rispose il giovane.
E dimostrò alla madre di Albor-di-Luna che sapeva prevedere il futuro e divinare le cose nascoste e segrete. E la madre senz’altro gli promise la figlia in sposa.
Nel frattempo un terzo pretendente, amico del fratello di Albor-di-Luna, aveva espresso il desiderio di sposarla. Saputo cha la fanciulla avrebbe scelto per marito che le recava il dono migliore, esclamò: “Io le reco in dono il mio eroismo, il mio coraggio, il mio valore: so maneggiare qualunque arma e mi sento capace di uccidere qualsiasi nemico”. E il fratello di Albor-di-Luna gli promise la sorella in sposa.
Il giorno seguente Harischvami ritornò dal viaggio e trovò la sua casa piombata nella più profonda costernazione: Albor-di-Luna nella notte era misteriosamente scomparsa!
Subito fu chiamato l’indovino, il quale si fece recare un bacile colmo d’acqua pura e vi guardò dentro, dopo aver tracciato segni misteriosi sopra di esso:
“Albor-di-Luna è stata rapita da un raksciasso, - disse – e il terribile demone la tiene sua prigioniera sulla vetta più alta e inaccessibile dei monti Vindhya, in mezzo a una foresta impenetrabile”.
“Presto, voliamo da lei! – gridò il mago. – Il mio cocchio ci trasporterà lassù in un baleno! E la mia spada la salverà! – esclamò l’eroe”.
I tre pretendenti salirono sul cocchio alato e in pochi minuti giunsero alla vetta eccelsa. Balzarono a terra e l’eroe si lanciò attraverso la foresta fitta, abbattendo gli alberi a colpi di spada, per poter passare. Il terribile raksciasso non tardò a comparire, ma l’eroe si avventò su di lui, e con un fendente formidabile lo stese morto sul colpo. Albor-di-Luna aveva assistito, tremando, alla scena spaventevole. I tre pretendenti la fecero salire sul cocchio e in un baleno tutti tornarono a casa sani e salvi.
“E ora, chi scegli fra i tre pretendenti?” – chiese il padre di Albor-di-Luna - qual è il dono migliore?”
“Io ti ho recato il dono della divinazione, - disse l’uno – senza di me, nessuno avrebbe potuto sapere dove ti trovavi”.
“Io ti ho recato il dono della magia, - fece l’altro – senza il mio cocchio alato, nessuno avrebbe potuto raggiungere la vetta del monte dove eri stata rapita”.
“Io ti ho recato il dono dell’eroismo, - asserì il terzo – senza la mia spada, nessuno ti avrebbe salvata dal terribile demone”.
“E questo è per l’appunto il miglior dono, - proclamò senza esitare Albor-di-Luna – tu hai rischiato per me la vita: il tuo coraggio e il tuo valore mi hanno salvata. Gli altri due non sono stati che strumenti perché tu potessi compiere la tua eroica impresa. Al mondo quelli che sanno calcolare e quelli che sanno fabbricare non sono che gli assistenti di quelli cha sanno agire”.
E così Albor-di-Luna sposò l’eroe e con lui visse cento anni felici.