pubblicato il 03/06/11

Oggi le malattie sono aumentate: negli ultimi vent’anni sono emerse 36 nuove patologie e negli Stati Uniti un quarto della popolazione dice di essere malata senza possibilità di guarigione.
D’altro canto, negli ultimi cento anni l’igiene e l’alimentazione sono di gran lunga migliorate.

Tuttavia il trattamento delle malattie è più complicato di un tempo:
• alcuni virus e batteri sono forti e non riusciamo a debellarli
• la popolazione si è indebolita a causa dell’assunzione di antibiotici, pasti abbondanti e squilibrati e scarso movimento.

Sul piano spirituale poi la maggior parte di noi vive una vita quotidiana alla rovescia. La comparsa del dolore non è che la prova che l’attitudine verso la vita è sbagliata, così com’è oggi soprattutto in Occidente. La gioia è indice di rettitudine ed equilibrio.

Permettiamo alla nostra mente di non essere mai soddisfatta, ci abbandoniamo alla lamentele quotidiane anche senza averne un’effettiva ragione, e questo ci provoca stress e perdita di salute.
Ma come funziona questo meccanismo dello stress psichico?

La radice dell’infelicità sta nel nostro concetto di attaccamento. Quando qualcosa ci piace tanto, la vogliamo possedere, il desiderio induce al possesso. E’ a questo punto che nasce l’insicurezza perché potremmo finire per perderla. Come reazione a questa inquietudine, invece di comprendere che sarebbe meglio smettere di desiderare di possedere, siamo portati a desiderare sempre di più.
C’è l’idea che possedere significhi essere più sicuri. In questo modo la vita diventa sempre più complicata, entriamo in una spirale irreversibile che non fa che aumentare la nostra avidità. Così è il nostro rapporto con il denaro, il lavoro, le persone. Ad un certo punto, giunti alla saturazione alienante di ciò che comunque non sarà mai del tutto nostro, sarebbe bene fermarsi e riflettere. Se siamo in grado di fare un percorso a ritroso di tale processo, ci accorgiamo che potremmo usare ciò che ci piace ma rinunciare a possederla. Nulla di ciò che vediamo e tocchiamo rimarrà con noi, siamo solo ospiti in questo pianeta, non possediamo alcunché.

L’anima è il viaggiatore, il corpo è il veicolo preso in prestito. Il viaggio dell’anima è un regalo, è qualcosa in più, che serve come esperienza. Paradossalmente questo modo di vedere la vita ci dona uno spazio positivo di serenità e sicurezza che ci permette di uscire da quel circolo vizioso. Per restare sani ed apprezzare la bellezza del mondo, è opportuno che ognuno di noi mantenga la consapevolezza di questo “essere ospite” e dunque rinunci ad attaccamenti e recinzioni che imprigionano l’anima e fanno ammalare il corpo. Le stesse dipendenze da sostanze (fumo, cioccolato, caffè, farmaci), ma anche dalle persone, dal lavoro, dal sesso, dalla violenza, dalle tecnologie, nascono dal desiderio di sentirsi sempre più soddisfatti: poiché ciò non è possibile, aumentiamo la dose di tutte queste dipendenze, nell’illusione che prima o poi saremo sazi.

Anche a livello biochimico il nostro cervello si assuefa a quantità sempre maggiori di “droga” per mantenere alto il tasso di serotonina, l’ormone del buon umore, che si potrebbe definire materialmente “la nostra forza interiore”. Il maggior benessere economico, il potenziamento della tecnologia e della scienza hanno reso molte cose più accessibili, ma hanno per contro aumentato le inquietudini dell’uomo, l’insoddisfazione e il senso di vuoto. Si parla di “fallimento del successo” della nostra società avanzata. I nostri figli tendono alla depressione, alla dipendenza, inseguono una felicità impossibile. Ma solo una vera inversione di tendenza ci può dare a poco a poco una sensazione di felicità: siamo consapevoli di essere ospiti, possiamo usare tutto ma non possedere niente. Cosa c’è di più rasserenante?

Oltre 2000 ricercatori universitari europei (Scientific and medical network society for psychical research) si stanno occupando della malattia con un’ottica diversa da quella prettamente scientifica ed ufficiale. Si occupano di esperienze fuori dal corpo, telepatia, reincarnazione, premonizioni, miracoli, fantasmi/presenze, guarigione psichica.

Lo psichiatra statunitense Ian Stevenson ha trovato oltre tremila bambini che ricordano le loro vite passate. In genere dopo i 6 anni dimenticano ciò che sembravano ancora ricordare nella prima infanzia, con vivide immagini come se fossero nel presente. Ha scoperto che in questa vita rimangono molti segni di malattie e ferite della vita precedente. Sapere che ognuno di noi ha vissuto più esistenze aiuta a curare il problema sofferto più volte. L’anima si porta dietro tutta una serie di impressioni che le rimangono attaccate e che a loro volta influenzano anche la vita spirituale, soprattutto nei bambini. Chi ha la fortuna di avere avuto delle vite positive, con azioni etiche e di valore, avrà successivamente dei genitori molto bravi/buoni e particolarmente spirituali.

La scienza di oggi purtroppo tende a controllare e non a curare, in una società in cui non si tiene conto né di Dio né dell’anima.

Il Raja yoga indica una via per la Verità, quella Verità che è oltre la conoscenza di noi stessi. E’ il concetto platonico di Nous, cioè la capacità di conoscere oltre la logica e oltre i sensi.
Ciò che è grossolano è PATHAR (pietra) e si contrappone a ciò che è raffinato, nobile, sottile (PARAS).

Paras ha la visione del tutto, dell’illimitato, dell’eternità; capisce il significato di ogni evento in quanto vede il contesto in cui si realizzano e ne comprende il significato. Pathar invece ha una visione parziale, non sa connettere le cose tra loro, la sua comprensione è slegata. Pathar porta sofferenza perché è ignoranza.

Per comprendere Dio, l’anima e gli aspetti più sottili abbiamo bisogno di Paras. Dunque ci dovranno essere una medicina, una filosofia, una scienza Paras. La medicina Pathar si specializza in aree separate e i medici sono esperti solo di una parte del corpo.
A una persona con una visione Paras il mondo appare come un palcoscenico, in cui ci sono costantemente suoni diversi, le cose cambiano continuamente, tutto si muove e varia. Sul palcoscenico ci sono tante storie diverse, che iniziano e finiscono. Ma Paras sa che, oltre il teatro, c’è qualcosa di più grande, sottile ed eterno, un mondo di totale silenzio, immobilità, illimitatezza di tempo; c’è vera uguaglianza perché non ci sono ruoli, né diversità, c’è vera sicurezza perché c’è pace ed eternità.

Nella vita fisica siamo costantemente dominati dalla parola “fine”, che non ci piace. Cerchiamo sempre di andare contro la fine e viviamo con ansia e scoraggiamento. La morte ci angoscia perché pensiamo di perdere tutto e nello stesso modo viviamo. In Paras invece si è liberi, non esiste la fine, la visione è più ampia, noi siamo viaggiatori e tutto è temporaneo, ma oltre la vita c’è l’immortalità.
 

 

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