Recensione Eventi

La Regola d’Oro

pubblicato il 28/05/15

Incontro Interreligioso presso Villa Vrindavana -Firenze  - 17 maggio 2015

Premessa

Esiste una legge universale, trovata nei vari libri sacri delle religioni del mondo, che è unica nel suo genere per la sua presenza in tutte le culture: “Fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi e a non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi”. È talmente preziosa da essere chiamata la Regola d’oro!

Cristianesimo: Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Vangelo secondo Matteo 7,12).

Ebraismo: “Ciò che per te è odioso non farlo al tuo compagno. Questa è l’intera Legge” (31° Sabbat, Talmud Babilonese).

Islam: “Nessuno di voi è un credente finché non ama suo fratello come ama se stesso” (Profeta Muhammed, 13° dei 40 Hadiths Nawawi).

Buddismo: “Non ferire gli altri in maniera che tu non debba ritrovarti ferito” (The Buddha, Uadanavarga 5, 18).

Induismo: “Questa è la somma del dovere: non fare agli altri ciò che ti causa dolore se fatto a te” (Mahabharata, 5.15.17).

Confucianesimo: “E’ il massimo dell’amabile benevolenza: non fare agli altri ciò che non vorresti che essi facessero verso di te” (Confucio, Analects 15.23).

Giainismo: “Nella felicità e nella sofferenza, nella gioia e nel dolore, dovremmo avere cura di tutte le creature come abbiamo cura di noi stessi ” (Lord Mahavira, 24° Tirthankara).

Sikismo: “Come stimi te stesso, così stima gli altri” (Sri Guru Granth Sahib).

Taoismo: “Rispetta la vincita del tuo prossimo come se fosse la tua, e la sconfitta del tuo prossimo come se fosse la tua” (Lao Tzu T’ai Shang Kan Ying P’ien 213-218).

Bahai: “Benedetto è colui che ama suo fratello prima di se stesso” (Bahá’ u’ lláh, Tablets of Bahá’ u’ lláh, Bahá’í World Centre, Haifa 1978).

Zoroastrianesimo: “Non fare agli altri ciò che è dannoso per te stesso” (Shayast-na-Shayast 13.29).

Religione tradizionale africana: “Ciò che dai (o fai) agli altri, questo ti sarà dato (o fatto) a te” (Proverbio rwandese).

La regola d'oro, nella sua forma negativa, era un principio comune nella filosofia dell’antica Grecia.
Ecco alcuni esempi:

"Non fare al tuo vicino quello che ti offenderebbe se fatto da lui" - Pittaco

"Evita di fare quello che rimprovereresti agli altri di fare" - Talete

"Non fare agli altri ciò che ti riempirebbe di ira se fatto a te dagli altri" - Isocrate

"Ciò che tu eviteresti di sopportare per te, cerca di non imporlo agli altri" – Epitteto

Intervento di Antonella Ferrari

Tante  cose dividono gli esseri umani e tante altre li uniscono. Nello spazio che ci divide nascono i conflitti e in quello che ci accomuna c’è la chiave di una riconciliazione e riunificazione di qualcosa che si è rotto nel tempo. Cosi sono subentrate diffidenza, sfiducia ecc.. come se si fossero rotti dei fili, quelli che ci congiungevano.  La regola l’ora è come un filo d’oro che è rimasto nel tempo, ha resistito al tempo, alla degenerazione, ricordandoci che si sono dei pilastri spirituali e una condizione di amore inesauribile nell’anima che cerca sempre di esprimersi. La costante ricerca di bontà ci accomuna, il valore innato della pace ci accomuna.  Benché quel filo sia invisibile, è nel cuore dell’essere e perciò emerge, di volta in volta, come un grido da dentro,  come un bisogno profondo, indistintamente dal credo, religione e cultura.

La regola d’oro implica il “regolare” o “sintonizzare” la propria coscienza nella frequenza d’onda delle virtù. È una frequenza energetica che le virtù hanno come del resto anche i nostri difetti.  Le virtù hanno una vibrazione molto alta mentre i difetti molto bassa. Ad esempio, il rispetto, molto sentito nella regola d’oro, è un livello energetico molto alto, che porta oltre i confini dell’ego, oltre il giudizio limitato, oltre la ragione e l’idea di avere ragione.  Un esempio, scientificamente provato, dell’impatto energetico del nostro pensare ed agire sono gli esperimenti del prof. Masaru Emoto. Lo scienziato giapponese, ha dimostrato come i cristalli dell’acqua modificano la propria struttura in relazione dei messaggi che ricevono. L’acqua sottoposta alle vibrazioni di parole e pensieri positivi forma dei cristalli bellissimi simili a quelli della neve, l’acqua sottoposta alle vibrazioni di parole e pensieri negativi reagisce creando strutture amorfe e prive di armonia.  Cosi avviene anche a noi…

Questo evidenzia che ognuno di noi ha la responsabilità di ciò che emana.  Questa responsabilità per me è come la regola di “diamante” che ci ricorda la parte di purezza, di profonda coerenza e di non violenza insita nella profonda natura dell’anima umana.

Ma la regola d’oro non è applicabile se oltre a non dare sofferenza non mi predispongo a non prendere sofferenza.  Se prendo sofferenza sarò destinata a ridarla, come se avessi preso della spazzatura e, prima o poi, devo scaricarla;  a qualcuno e in qualche modo dovrò esternare quello che non posso tenere dentro a lungo. Perciò la mia prima misericordia è quella di darmi l’opportunità di curare il passato e non essere troppo vulnerabile ma usare un sano distacco. Un metodo per distaccarsi è quello che ci ricorda il triangolo dell’armonia di Pitagora,  la teoria dei tre punti.  Uno dei due punti in basso rappresenta il sè,  il punto in alto,  all’apice del triangolo, rappresenta Dio o una coscienza elevata, e il terzo punto rappresenta gli altri e gli eventi. Di solito interagiamo direttamente con gli altri forzando le circostanze, spingendo perché accada quello che vogliamo.. ma raramente comprendiamo che esiste un metodo più facile e più efficace,  ovvero quello di andare al Punto in alto,  come se andassimo sulla vetta, e attraverso di Lui e con Lui interagiamo con il mondo. Così, non sarà più un’energia che io spingo e forzo (che fatica!!) ma le circostanze vengono a me! Magico no?  Nella sua magia è comunque reale, diventa un modo di vedere e percepire la vita,  usando questo meccanismo di supporto e di distacco.

Per concludere, la regola d’oro è ciò che accompagna il cuore di chi si risveglia e desidera il meglio per sè e il meglio per gli altri. Insomma è alla base di una sana civiltà, perduta oggigiorno in quello che appare e in quello che sentiamo alla TV,  ma realmente insita nella coscienza umana e  pertanto, prima o poi, destinata a prendere il sopravvento perché il bene, anche se non sembra, e anche se non subito,vince sempre.

Una Storia ….

Molto tempo fa, in un lontano villaggio, viveva un povero bramino.

“I nostri figli rischiano di morire di fame – gli disse un giorno la moglie – ti prego, mettiti in cammino, e cerca un modo per procurarci il pane: quando ci sarai riuscito torna da noi al più presto”.

Il brahmano si avvolse nella sua bianca veste, e partì.

Dopo qualche giorno di cammino arrivò in una grande foresta e, mentre cercava un po’ d’acqua da bere, trovò una cisterna su cui era cresciuta l’erba. Si affacciò, e vide sul fondo una tigre, una scimmia, un serpente e un uomo, tutti caduti nella stessa cisterna.

“Ascolta nobiluomo – ruggì la tigre – tu sai che salvare un essere vivente è un’opera buona.

Tirami fuori, così potrò tornare da mia moglie, i miei figli, i miei parenti e i miei amici”.

“Tutto ciò che vive – disse il bramino – si riempie di terrore solo a udire il tuo nome: puoi ben immaginare come anch’io abbia paura di te!”.

“Faccio un solenne giuramento – ruggì la tigre – non ti minaccerà alcun pericolo da parte mia”.

Il brahmano allora ascoltò il proprio cuore e liberò la tigre.

“Ti prego! Libera anche me! Ti prego, ti prego!” cominciò allora a gridare la scimmia.

Il bramino così liberò anche la scimmia.

“Tirami fuori di qua sssotto!” sibilò il serpente.

“Il tuo nome suscita terrore – disse il bramino – figuriamoci il pensiero di toccarti!”.

“Noi ssserpenti non agiamo per cattiveria, mordiamo sssolo ssse sssiamo cossstretti.

Ti faccio un solenne giuramento: non devi temere nulla da me!”.

Il brahmano allora liberò anche il serpente.

“Nella cisterna è rimasto un uomo – gli dissero i tre animali – stai attento: quell’uomo è un pozzo di peccati, non ti fidare!”.

“Vedi lassù quella montagna con quattro vette? – aggiunse la tigre – La mia caverna si trova là in alto.

Rendimi l’onore di venirmi a trovare, in modo che mi possa sdebitare della tua gentilezza” e con un balzo sparì nella foresta.

“Anche la mia tana – disse la scimmia – si trova tra quelle vette: accanto a una cascata.

Devi venire a trovare anche me!” e con un salto sparì nella foresta.

“Ssse tu dovessi avere bisogno – disse il serpente – pensa a me!” e strisciando sparì nella selva.

L’uomo che si trovava ancora nella cisterna, intanto, non aveva smesso di gridare: “Ti prego, buon bramino, tirami fuori di qui, e te ne sarò grato!”.

Il brahmano si impietosì e, considerando che quell’uomo apparteneva al suo stesso genere, liberò anche lui.

“Sono un famoso orafo, e vivo nella città dalle mura rosate! – gli disse l’uomo –Se avrai dell’oro da lavorare portamelo, e io ti aiuterò!” e si incamminò per ritornare in città.

Il bramino invece continuò a cercare cibo in quella terra, ma non trovò nulla.

Sconsolato, decise di riprendere la via di casa. Ma mentre camminava gli vennero in mente le parole della scimmia: si diresse verso la sua tana e la trovò, proprio accanto alla cascata.

La scimmia gli fece festa, e gli donò frutti dolci come il miele: “E quando avrai ancora bisogno di frutta, vieni sempre da me!”.

“Grazie! – disse il brahmano – Con questi frutti hai salvato la mia vita e quella della mia famiglia.

Conducimi adesso dalla tigre”.

La scimmia lo condusse allora alla caverna della tigre che lo riconobbe, gli fece festa, e per sdebitarsi gli regalò una collana lavorata in oro insieme a numerosi gioielli: “Mi è capitato tra le fauci il figlio di un re.

L’ho mangiato insieme al suo cavallo, ma ho conservato per te questi suoi gioielli.

Ti prego, accettali: sono tuoi!”.

Il bramino prese i gioielli e si ricordò dell’orafo: ‘Mi aiuterà a venderli – pensò –e a ricavarne denaro per la mia famiglia’ e subito si recò da lui.

Anche l’orafo gli fece festa: “In cosa posso aiutarti?” gli chiese.

“Ti ho portato questi gioielli d’oro – disse il brahmano – mi aiuteresti a venderli?”.

Al vedere i gioielli l’orafo rimase stupito: ‘Questi li ho realizzati io stesso – pensò – per il figlio del re!’.

“Aspettami qui – disse al bramino – so a chi venderli: ritornerò subito con la tua ricompensa!”.

L’orafo, così, si recò al palazzo dalle mura rosate e li mostrò al re: “A casa mia c’è un brahmano, me li ha consegnati lui: deve aver ucciso il principe per rubargli l’oro!”.

“Hai ragione – esclamò il re – quel bramino è sicuramente l’assassino di mio figlio: gli darò la ricompensa che si merita!” e ordinò subito ai suoi boia: “Incatenate quel brahmano assassino e, trascorsa la notte, uccidetelo!”.

Incatenato, nel buio della prigione, il brahmano si ricordò del serpente e gli bastò pensarlo perché fosse già lì, accanto a lui.

“Come posso ssservirti?” gli chiese il serpente.

“Liberami dalle catene!”.

“Faremo così – sibilò il serpente – morderò la moglie del re, e non potrà liberarsi dal veleno neppure di fronte alle formule magiche dei maghi più potenti, neppure di fronte agli unguenti dei medici più sapienti.

Ma appena tu la sssfiorerai con la tua mano, ssscompariranno gli effetti del veleno, e tu sssarai liberato dalle catene”.

Così il serpente morse la regina.

In tutto il palazzo si levò un gran grido di dolore, e l’intera città cadde nella più profonda tristezza.

Il re fece convocare, anche dai paesi più lontani, tutti i sapienti più esperti e tutti i medici più abili, ma nessuno di loro riuscì a liberare la regina dagli effetti del veleno.

Il re allora, disperato, fece rullare i tamburi.

Quando il brahmano li udì, cominciò a gridare dal fondo della sua cella: “Libererò io la regina dal veleno!”.

Gli tolsero subito le catene e lo portarono al cospetto del re, davanti alla regina che stava ormai stesa su un letto di gelsomini bianchi, in attesa della morte.

Il brahmano le si avvicinò in silenzio, la sfiorò con la mano, e gli effetti del veleno scomparvero all’improvviso.

 Vedendo la sua sposa rinascere a nuova vita il re si inchinò davanti al brahmano: “Vi prego, ditemi la verità su come siete giunto in possesso dei gioielli”.

Il bramino gli raccontò tutta la storia.

 Il re allora fece punire l’orafo ingrato, e ricompensò il brahmano con mille vacche bianche.

Poi lo nominò suo ministro, e gli affidò il governo di tutto il regno.

Il bramino allora fece venire la sua famiglia, e raccolse alla propria corte tutti i parenti.

Riunito a loro, fu in pace per il resto dei suoi giorni e accumulò un ricco tesoro di opere buone donando a tutti con grande generosità.

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