pubblicato il 17/01/16

7. La risoluzione dei conflitti

Alcune applicazioni pratiche del potenziamento spirituale si possono osservare nel campo della risoluzione dei conflitti e nel controllo della rabbia. L’esigenza di liberarsi da qualsiasi tipo di problemi è perfettamente naturale e costituisce il più elementare dei diritti umani. Alla base c’è il bisogno di eliminare il dolore. Ma nel tentativo di acquisire la libertà spirituale ed emotiva, spesso finisco con l’esaurirmi in una lotta impari contro cause esterne immaginarie, senza riconoscere che il seme vero della sofferenza è dentro di me.

Invece di usare gli strumenti della ragione e della maturità, tiro fuori i miei sentimenti limitati e li utilizzo come spranghe per uscire dalla confusione. Spesso, l’unica cosa che si rompe sono io. D’altra parte, è chiaro che solo un masochista potrebbe deliberatamente procurarsi dei motivi per sentirsi triste.

Molte situazioni che provocano sofferenza emotiva sono relativamente insignificanti. A volte basta poco.

«Aspetta che Henry mi capiti a tiro. Quel… ha dimenticato di portarmi la chiave».

«Che confusione! L’altro ragazzo non si è presentato all’ora convenuta».

«John, quante volte ti ho detto di non lasciare i calzini in soggiorno?».

«Sì, mi sento un po’ giù. Ho sentito che Mary ha detto che Susan le ha raccontato quello che Anthony aveva detto a George il quale aveva detto che non gli piaceva il lavoro che ho fatto».

Ho trascorso una parte della mia infanzia in una casa situata in una tranquilla strada alberata di una zona all’estrema periferia di Sydney, in Australia. Molti vicini avevano pressappoco la stessa età perché erano venuti ad abitare lì appena sposati, subito dopo la costruzione delle case. Nonostante le feste e le amicizie nascenti, ricordo che c’era parecchia sofferenza inutile dovuta a piccole scaramucce tra e in seno alle famiglie. Con un po’ di buonsenso e di ampiezza di vedute, si sarebbero potute evitare. Critiche, maldicenze, occhiatacce, e silenzi ostinati avevano libero corso.

La nostra vicina di casa semplicemente non ci rivolse più la parola perché un giorno la palla con la quale stavamo giocando finì nel suo giardino e per poco non tramortì il gatto che dormiva. Un giorno, in un’altra casa, a pochi passi dalla nostra, il capofamiglia si suicidò sparandosi davanti alle figlie mentre facevano colazione. Quattro case più in là, dalla parte opposta, una mamma di quattro figli prese una dose eccessiva di tranquillanti e morì. Sembra assurdo che in un luogo che avrebbe potuto essere un paradiso, si desse e si ricevesse dolore a un prezzo così elevato.

Da allora in poi ho imparato che non c’è niente che valga più della mia pace interiore. Se qualcuno fa qualcosa che non mi piace, o che è contrario al mio modo di fare le cose, perché dovrei arrabbiarmi? Anche se tutto va storto, se mi arrabbio la situazione sarebbe ancora più difficile da correggere. Se ho una spina nel piede, devo togliermela e non perdere tempo a insultarla.

È naturale volermi liberare di ciò che immagino stia provocando la mia ira. Ma il solo tentativo di districarmi dalla causa della provocazione spesso si manifesta come rabbia, irritazione, arroganza, impazienza, impetuosità ecc., stravolgendo l’espressione del mio volto e il livello della voce e peggiorando le cose.

Perché arrivo al punto di dover urlare per far valere il mio punto di vista? È il mio temperamento che si surriscalda a causa dell’altra persona o è la mia incapacità di gestire la situazione? La ragione della mia rabbia è sicuramente la seconda. Una parte di me vuole mantenere la pace e l’altra vuole risolvere la situazione impulsivamente e subito.

Il triste risultato è che sia io che la situazione perdiamo il controllo.

Il paradosso è che, benché l’effetto sia negativo, esso nasce dal desiderio di raggiungere uno stato di pace in cui non si avverte più la spina dolente. Purtroppo questa esigenza si esprime in modo sbagliato e confuso. Anche in una situazione di conflitto, l’individuo cerca in qualche modo di ripristinare la qualità della pace originaria.

Immagina di essere coinvolto in una violenta discussione sul significato dell’amore, o di metterti a litigare con tua moglie su come dovrebbe essere costruita la casa per le vacanze dei vostri sogni. Se c’è confusione e rabbia le incongruenze abbondano.

Eppure, nonostante questo, lo scopo è sempre stato realmente uno, anche se a volte si manifesta in modo sbagliato: io voglio solo pace, amore e felicità.

Cerco queste qualità in ogni cosa e in ogni persona che formano il mio mondo esterno, ed ecco un altro paradosso: pace, amore e felicità sono le mie caratteristiche innate e lo sono sempre state. Vado in cerca di qualcosa che ho già!

Siamo noi ad alimentare i problemi

Di recente ho fatto una chiacchierata con un dirigente nel campo della pianificazione finanziaria riguardo alla tendenza che abbiamo di ingrandire la dimensione del problema. Una volta un gruppo di dirigenti si riunì per risolvere una crisi che l’azienda stava affrontando, e tutti espressero la propria opinione:

«Secondo me, l’unica cosa che possiamo fare è licenziare parte del personale. Le vendite sono diminuite e non possiamo più mantenere quelli che non producono», disse uno.

«È un problema così grave che dobbiamo licenziare almeno il 20% del personale», disse un secondo.

«Direi il 40%», disse un terzo.

«Di questo passo dovremo chiudere la fabbrica. I costi delle materie prime ci stanno uccidendo», disse un quarto.

Nelle discussioni in cui i partecipanti osservano le cose da un punto di vista essenzialmente personale e limitato, il problema oggetto di analisi di solito assume una dimensione che in realtà non ha se fosse visto da una prospettiva più obiettiva ed elevata. Eppure a quale costo cresce il problema?

Nell’esempio precedente, la crisi che l’azienda stava affrontando non sembrava così grave all’inizio. Alla fine, sembrava che i dirigenti fossero pronti a bloccare la produzione! Era come se fossero gli stessi partecipanti ad alimentare il problema. L’energia che avrebbero dovuto usare per risolvere il problema era esattamente la stessa che veniva usata per ingigantire il problema.

Quando la visione è negativa, di fatto non si riesce a risolvere nulla. Il dirigente in questione mi disse che l’incontro andò avanti così per due ore. Alla fine non fu presa alcuna decisione e tutti i dirigenti si sentirono completamente esausti. Naturalmente era il problema che ne aveva assorbito le forze. Che cosa aveva trasformato un fuscello in una trave? Sarebbe andato tutto bene se si fossero concentrati sulle risorse e sulle disponibilità per far uscire l’azienda dalla crisi. Per percepire le forze, devo lavorare a un livello molto sottile e spirituale.

Le situazioni possono essere facili o difficili. Devo usare ciò che possiedo in termini di comprensione, o potere spirituale, per risolverle, per dare o ricevere un beneficio. Perché devo trasformare un seme in albero gigantesco? Devo solamente capire quali sono le forze in campo e adottare l’atteggiamento più corretto e obiettivo possibile. Questa è la sfida.

Disperazione!

Se mi sento impotente e messo alle strette, il problema si ingrandisce in proporzione alla mia dimensione spirituale e alla fine diventa un ostacolo impossibile da superare.

«Sono debole. Non riesco a farlo. Oh mio Dio, che cosa devo fare? È troppo…».

Tali espressioni rafforzano i problemi e mi lasciano inerte e senza speranza. Vista così, la disperazione sembra semplicemente una mancanza di prospettiva perché non sto facendo abbastanza per migliorarmi spiritualmente. Non fare abbastanza o non fare niente sono effetti della pigriziaiando.

Che la disperazione sia una conseguenza della pigrizia diventa chiaro quando so, ad esempio, che una situazione particolare è destinata a peggiorare e ciò nonostante non mi preparo mentalmente, emotivamente e spiritualmente ad affrontarla.

Tutto è relativo…

Con una visione limitata, di solito tutto viene visto come se fosse attinente alle caratteristiche e ai sentimenti personali. Come si suol dire: con gli occhiali scuri si vede tutto nero; con gli occhiali rosa si vede tutto rosa.

Tuttavia, non è tanto la qualità della mia visione delle cose, ma la «dimensione» che ritengo abbia il mio sé a determinare il modo in cui le vedo. Per una formica, un piede umano sembra un mostro, ma per un elefante sarebbe insignificante.

Come fisicamente tutto viene visto a seconda della dimensione dell’osservatore, così le situazioni vengono interpretate a seconda della dimensione dell’ego, sia nel senso del rispetto di sé da un lato, che dell’arroganza dall’altro.

Io penso e accetto ciò che vedo (oppure sperimento) come reale, solido e concreto, ma in realtà percepisco solo ciò che il mio ego, sotto l’influenza dei sanskaras, stabilisce che io veda. L’ego colora tutto con le connotazioni di quel momento. La persona che vedo non è la persona che vedo, ma l’immagine che ho di lei colorata dalla mia percezione. Dopo un po’ di tempo e una certa familiarità, ciò rende alcune relazioni molto soggettive. Immagina le reazioni di un gruppo di persone diverse che guardano una Rolls Royce nuova:

 Un semplice contadino:

«Che macchinona smagliante. È un sogno».

Un banchiere:

«Già li vedo strabuzzare gli occhi se dovessi arrivare al club alla guida di questa Rolls».

Una casalinga borghese:

«È bella, ma un po’ troppo grande. Ho paura di ammaccarla».

Un meccanico:

«Che gran bel motore. È semplicemente il migliore del mondo».

Un socialista convinto:

«Preferisco il mio vecchio macinino. È più economico e pratico».

Tutti giurerebbero di aver veduto la realtà e che la loro versione sia quella giusta. In effetti, ciascuno vede ciò che i suoi sanskaras impongono alla sua visione o gli fanno vedere attraverso le lenti della propria esperienza precedente. Una tale visione può essere solo relativamente vera. Ciascuno colora la Rolls Royce con la sua ambizione, meraviglia o indifferenza.

Proprio come queste cinque persone vedono l’auto in maniera diversa, il mondo e tutte le sue circostanze vengono viste in tanti modi quanti sono gli individui. Non mancano certo coloro che giurano di capire tutto correttamente. Lotte e conflitti esistono sempre tra opinioni diverse, ma mai tra intrinseche verità.

Da un punto di vista assolutamente obiettivo, una Rolls Royce non è che un veicolo sofisticato e sicuro per il trasporto personale, né più né meno. Allo stesso modo, il mondo osservato obiettivamente è come un enorme teatro con forme, colori, suoni, scenari e attori che interagiscono nel bene e nel male in una serie continua di scene e intrecci che costituiscono la nostra storia individuale e collettiva.

Benché vi siano molte interpretazioni delle scene, la realtà è solamente una. Tutti partecipiamo all’unico processo dell’esistenza e le trame di questa enorme rappresentazione sono incredibilmente variegate e interessanti.

Il cosiddetto terzo occhio ci fornisce la visione della totale obiettività. Non è che abbiamo un altro occhio fisico in mezzo al cervello; è che questa visione si apre quando comprendiamo la nostra esistenza.

Due situazioni in una

Radunare tutte le forze disseminate del sé in un solo potere per resistere alle avversità, è una tremenda sfida che richiede grande chiarezza e pazienza. Ogni situazione ha due aspetti: un aspetto esterno rappresentato dai fattori sociali, fisici o economici – il tempo, il luogo e anche la condizione della relazione. La situazione interna è il risultato dell’esperienza passata e dell’influenza dei sanskaras. La mia reazione a una situazione dipende dal grado di armonia tra i due aspetti. Analizziamo le seguenti situazioni:

Situazione 1

Il marito ritorna a casa dal lavoro di malumore perché ha avuto una giornata difficile. La moglie ha preparato la cena con molto amore, ma accidentalmente rovescia il cibo sul pavimento. Il marito si arrabbia e si mette a urlare.

Situazione 2

Il marito ritorna a casa dopo aver trascorso una buona giornata al lavoro. La moglie fa cadere accidentalmente la cena per terra. Il marito dice: «Non è niente», e la aiuta a ripulire.

In questi semplici esempi vediamo la stessa situazione esterna: la cena versata per terra. Sono stati adottati due atteggiamenti mentali completamente diversi. In entrambi i casi la reazione del marito dipende dalla sua situazione interiore, la quale è chiaramente il risultato delle esperienze avute durante la giornata. La cena rovesciata per terra non è la causa dello stato emotivo del marito. Questo era già presente.

Potrebbe anche darsi che il marito del primo esempio dopo la sua esplosione d’ira, continui a brontolare e a criticare la moglie mentalmente, non solo per la cena versata. Se la prende con lei a causa del proprio malumore e rimugina per ore sui difetti di lei. In questo modo la tendenza ad arrabbiarsi in analoghe situazioni catalizzanti finisce per rafforzarsi.

Sale e ferite

Se mi trovo coinvolto in una situazione conflittuale, di sicuro ho la mia parte nell’averla creata. Se ne soffro, sono i miei sanskara negativi che generano la sofferenza (cioè, i ritorni karmici). A prescindere da quanto disturbante sia una situazione o da quanto difficile sia una relazione, questi sono semplici attori nella rappresentazione della mia sofferenza. Il problema non è come gli altri mi influenzano, ma i punti deboli o i difetti in me che mi inducono a essere influenzato.

Se ho una ferita aperta e vi metto sopra del sale, questa comincia a bruciare immediatamente. Ma se la ferita è rimarginata, il sale non ha effetti. Mettiamola così: viviamo in un mondo abbastanza salato. Ma per quanto sale gli altri possono versare su di me, se non ho ferite aperte non ne verrò influenzato. Per esempio, se non ho la tendenza ad irritarmi, gli altri possono anche farmi le più grandi provocazioni, ma io non perderò la calma.

Se ho la capacità di produrre una situazione conflittuale, ho anche il potere di risolverla.

Se sono stato io a creare qualcosa, posso anche distruggerla.

Aspettative

Quando mi aspetto che qualcuno coincida perfettamente con il modello mentale che mi sono fatto di lui, sono completamente esposto a possibili delusioni quando questa persona non agisce in base ai miei desideri.

Per esempio, dopo le tre settimane di ferie annuali, un funzionario ritorna in ufficio sperando, naturalmente, che tutto vada liscio e che i suoi colleghi si comportino bene con lui. Ma il funzionario che lo aveva sostituito durante le ferie, un altro componente dello staff, lo aspetta per fargli una lavata di capo. Non appena arriva, comincia a urlare:

«Perché non mi hai detto che dovevo fare quel lavoro? Abbiamo perso venti clienti e il capo vuole la mia testa».

Il nostro funzionario abbronzato e rilassato risponde:

«Calma, calma. Sono appena tornato. Non voglio saperne di queste cose».

E l’altro continua:

«Ah, sì? E allora adesso ti senti tutto l’elenco dei reclami che ho ricevuto a causa della tua sbadataggine».

«Perché non mi hai chiamato? Avresti almeno potuto assumerti questa responsabilità».

«Non parlare di responsabilità a me, brutto… che non sei altro!

«Ma come ti permetti. Lo riferirò al direttore e ti sistemerà lui per le feste».

«Ah sì? Vedremo…».

La temperatura sale rapidamente da entrambe le parti.

Poiché il funzionario si aspettava che tutti avrebbero dovuto essere calmi e tranquilli il primo giorno del suo rientro, si ritrova immediatamente vulnerabile alla rabbia del collega, perciò si irrita e la sua giornata è rovinata.

L’aspettativa mi fa diventare come un aspirapolvere che funziona in base al principio che il vuoto creato al suo interno attirerà qualsiasi cosa ci sia all’esterno. Va tutto bene quando le cose intorno sono positive. Ma quando non lo sono, ciò causa delusione, rabbia o almeno sconforto. In realtà, il sostituto vuole solamente tre cose:

  • · Farsi sentire
  • · Che il collega comprenda il suo problema
  • · Che, possibilmente, gli offra qualche soluzione

Tutto qui! L’aspettativa ha reso il funzionario cieco alle esigenze dell’altro. Se vi fosse stato questo livello di percezione, si sarebbe benissimo potuto evitare la situazione esplosiva.

Molti di noi vogliono solo essere ascoltati e possibilmente capiti dagli altri. Se qualcuno, per una qualsiasi ragione, è arrabbiato per qualcosa che ho fatto o che immagina io abbia fatto, ed io conosco le regole di base del gioco della vita (cause ed effetti, come funzionano i sanskaras nelle relazioni ecc.) è mia responsabilità aiutarlo, almeno ascoltandolo fino in fondo, e mostrandogli di aver capito. È come se l’altro abbia un chiodo fisso nello stato mentale che lo fa arrabbiare. Sta a me diventare il martello che lo spinge ancora più in profondità o che lo estrae!

Cause dei conflitti

Quando comprendo l’interazione tra il mio mondo interiore e quello esterno, riesco facilmente a vedere che ciò che c’è dentro è molto simile a quello riprodotto fuori. Se mi trovo in uno stato di conflitto interiore, divento più suscettibile alla natura conflittuale degli altri, il che di solito finisce in uno scontro silenzioso, verbale o fisico.

Il conflitto interiore è fondamentalmente dovuto a cinque ragioni:

  • · Tra ciò che sono realmente e ciò che sono diventato.
    • · In profondità sono puro e sereno, ma in superficie incostante e mutevole. Questa incompatibilità mi predispone al conflitto.
    • · Tra ciò che so essere vero e corretto e ciò che voglio o desidero.
      • · Questo nasce dalla divergenza tra l’ideale e la pratica che mi tormenta e spinge le cose al conflitto.
      • · Tra ciò che faccio e ciò che ottengo come risultato.
        • · Quando quello che voglio ottenere non corrisponde all’impegno profuso, inevitabilmente nascono frustrazione e irritabilità.
        • · Falso senso dell’io
        • · Falso denso di mio

Il falso senso dell’io

La prima causa di conflitto è il falso senso dell’io o dell’identità personale che comunemente viene detta arroganza. Poiché penso di essere qualcosa o qualcuno che in realtà non sono, diventa imperativo sostenere una tale illusione. Ogni tanto devo ridipingere l’immagine di me che mostro al mondo.

Quando qualcuno dice qualcosa contro questa immagine (io sono così e così, ho studiato molto, ricopro questa o quella posizione), diventa necessario difendermi.

«Come osi dire questo di me? Che ne sai tu?».

In una circostanza del genere, nella quale cerco di difendere la mia facciata, è molto probabile che pensieri, parole e azioni possano esprimersi come punte affilate o spine aguzze. Se anche l’altra persona si sta nascondendo dietro la facciata dell’ego, quando riceve l’energia della mia rabbia, non perde tempo a restituirmene una parte. 

Poiché le persone che posseggono umiltà genuina e rispetto di sé non sono molto comuni, devo sempre essere pronto a usare gli strumenti della conoscenza spirituale con tutti quelli che incontro.

Se riconosco che l’altra persona è infiammata, dovrei versare acqua e non ulteriore combustibile sulla situazione. Anche una piccolissima parola di sarcasmo o cinismo può far esplodere l’altro.

Devo comprendere in che modo le persone si complicano la vita. Quando qualcuno dice: «È stata una giornata tremenda…» in realtà potrebbe aggiungere: «Perché non sono riuscito a proteggere la mia immagine come avrei voluto».

Quando incontro una persona molto aggressiva e riesco a mantenere il rispetto di me stesso e la sicurezza interiore, la mia reazione sarà di comprensione, rispetto e naturalezza. Se riesco a mantenere questa mentalità, non solo non vengono toccato dalla negatività dell’altro, ma potrò influenzarlo positivamente:

Anche se il primo individuo tratta l’altro con rabbia, il secondo

continua ad inviare buoni sentimenti all’io dell’altro

riconoscendo le sue vere virtù.

 

Il rispetto di sé garantisce il rispetto dell’altro, se non immediatamente, dopo un certo tempo.

Nel terzo caso nel quale c’è vero riconoscimento di sé in entrambe le persone, la condivisione delle qualità spirituali è spontanea, senza l’intralcio dell’ego:

 Azione e reazione tra due individui

che riconoscono il vero io

Il falso senso di ‘mio’

La seconda condizione che genera conflitto è il falso senso di mio, che in altri termini è semplicemente attaccamento. Questo è mio, quello è mio, quel lavoro è mio, questa persona è mia, quell’idea è mia

Il falso senso di io è ovviamente connesso ad una serie di mio/miei.

Se ho la consapevolezza che sono un essere spirituale pieno di pace, tutto ciò che circonda la mia esistenza viene visto come una serie di punti di riferimento più o meno importanti, ma allo stesso tempo transitori. Se mi considero come un essere eterno, nulla può essere veramente mio per sempre, dal momento che non posso portare niente con me da una vita all’altra.

Alessandro il Grande, dopo aver conquistato metà del mondo conosciuto fino ad allora, in punto di morte chiese ai suoi compagni di seppellirlo con le mani fuori dalla bara per mostrare questa verità.

Ciò che appartiene al sé eterno deve essere altrettanto eterno. Il paradosso è che per quanto niente appartenga all’anima, tutto può appartenerle: la terra, il mare, le montagne, ma solo se ho la consapevolezza di esserne un amministratore o un fiduciario.

Non solo del nostro pianeta. Devo anche prendermi cura degli oggetti e delle relazioni che fanno parte dei miei ruoli. L’attaccamento ha un effetto negativo perché va contro la natura del sé, limitandolo o imponendo condizioni su qualcosa.

I sintomi dell’attaccamento sono paura, preoccupazione, gelosia, aspettative, imposizioni, mancanza di rispetto, meschinità ecc. Nonostante ciò, l’attaccamento viene usato spesso come sinonimo di amore: Ti amo se mi ami… Se smetterai di amarmi anch’io non ti amerò più… Se fai qualcosa che non mi piace, ti farò vedere di che cosa sono capace io…

Immagina di sentire il sole esprimersi con queste parole se solo potesse parlare:

Gli esseri umani non riconoscono la mia importanza, perciò oggi non li illuminerò. A quella pianta laggiù io piaccio, e quindi le manderò la luce, ma quella che le sta accanto non vale niente e perciò non otterrà da me nemmeno un raggio.

Il mio amore deve essere come la luce del sole e non come una candela tremolante in una notte ventosa.

Vivendo in un paese dove i furti sono all’ordine del giorno, ho visto per esperienza che quelli che hanno un esagerato senso della proprietà vengono derubati con maggior frequenza. Ciò perché l’energia negativa dell’attaccamento e dell’avidità di cui l’oggetto è impregnato, attira anche i ladri.

Se perdo qualcosa verso la quale non ho forti sentimenti di attaccamento, spesso la ritrovo in un modo apparentemente miracoloso. Non è un miracolo. È solo il gioco delle energie.

Spesso, ciò per cui provo attaccamento fa nascere gelosia o invidia negli altri. Se, per esempio, sono troppo attaccato a un ruolo particolare che devo rappresentare, facilmente ciò può suscitare invidia negli altri. Se sono distaccato e umile mentre eseguo lo stesso ruolo, posso ispirare le persone.

Il mio atteggiamento sbagliato verso qualcosa suscita sentimenti negativi da parte degli altri verso quella cosa. Tali sentimenti possono assumere la forma di parole sarcastiche o di sottili guerre fredde fatte di pesanti silenzi o di sguardi truci.

Ciò nonostante, è possibile evitare o trasformare questo tipo di conflitto. Come prima cosa, devo sviluppare la consapevolezza di essere un fiduciario. Le cose non mi appartengono; io me ne prendo solamente cura con amore e responsabilità.

Se ho compiuto delle buone azioni che hanno permesso l’accumulo di certi beni, talenti e buone relazioni, non è necessario che li tenga stretti come se fossero incollati a me. Essi esistono grazie alla mia fortuna spirituale o a retribuzioni karmiche positive dovute a sforzi fatti nel presente o in passato.

Posso solo dire Grazie a Dio, e cercare di aver cura di queste cose nel miglior modo possibile. Essere distaccati non significa essere superficiali o con la testa tra le nuvole, bensì non essere influenzati dalla negatività e mantenere sufficiente amore e attenzione affinché le cose prosperino.

Desideri negativi

La terza causa di conflitto è rappresentata dai desideri negativi non realizzati. L’elenco è lungo. Alcuni tra i principali sono volere:

  • · qualcosa di irreale o immaginario;
  • · augurare male agli altri;
  • · crescere e prosperare a spese degli altri;
  • · essere come qualcun altro invece di sviluppare le mie qualità;
  • · più di quanto sia necessario in termini di cibo, vestiario, riparo ecc.;
  • · soddisfare solamente i sensi del corpo.

Queste cose finiscono per lavorare contro di me. Ho solo bisogno di una certa quantità di cibo o di condizioni di vita accettabili. Non ho bisogno di una reggia né di vivere in una grotta. Ho solo bisogno di ciò che è ragionevole per il lavoro che devo svolgere.

Voler essere più importante per gonfiare l’ego, o aumentare ciò che si possiede può recare conseguenze spiacevoli. Poiché tutto ciò che mi circonda è transitorio, non lo posso mantenere a lungo. Peggio ancora è il fatto che per quanto io mi impegni a soddisfarli, questi desideri tendono solo a diventare più numerosi.

Essi diventano fonte di insoddisfazione, la qual cosa porta a una forma o a un’altra di irritazione e quindi a possibili conflitti. Quando questi desideri non si realizzano, danno origine alla frustrazione che provoca rabbia e rende le relazioni dolorose.

 

Uscire dai conflitti

Un modo per uscire dai conflitti è smettere di combattere contro i miei problemi e cominciare ad aiutare quelli che si trovano in situazioni peggiori, mettendo a loro disposizione le mie qualità positive.

Il rispetto per me stesso non lascia spazio all’arroganza, che non può resistere davanti alla forza che deriva dalla realizzazione degli aspetti positivi di sé.

È necessario che io sia amico di me stesso per essere un vero amico degli altri. Senza rispetto per me stesso, non percepirò veramente gli altri come miei amici. Saranno solo dei conoscenti che entrano ed escono dalla mia vita.

La consapevolezza di essere un fiduciario non permette all’attaccamento di creare i legami che mi tengono imbrigliato a terra. Se ho amore incondizionato, se non amo solamente una o due persone, ma mantengo il cuore aperto a tutti, posso evitare i problemi che nascono nelle relazioni di dipendenza.

Non ho solamente un amico. Posso condividere l’amicizia con tutti. Il sentiero verso l’autopotenziamento consiste nel colmarmi di comprensione, spiritualizzare la mia vita e ispirare gli altri a fare altrettanto.

Man mano che divento sempre più completo, i desideri negativi non solo diminuiscono, ma scompaiono del tutto. Di conseguenza, i conflitti hanno semplicemente sempre meno occasioni per generarsi.

Egocentrismo e autorealizzazione

Le vie che l’energia del sé può prendere per manifestarsi sono essenzialmente due: verso la realizzazione di sé o verso l’egocentrismo. La scelta è inevitabilmente quella tra autocontrollo o conflitto.

L’ego limitato percepisce naturalmente che deve usare qualsiasi cosa a disposizione per generare felicità. In tal modo, tempo, energia (nel senso di salute) e ricchezza (in termini di beni), vengono utilizzati per ricercare la felicità.

Quando ho fame cerco il cibo; se comincia a piovere corro a cercare un riparo. Alla stesso modo, l’ego limitato ricerca l’amore, la pace e la felicità come se fossero cibo e riparo, ed usa qualsiasi cosa a portata di mano per cercare di ottenerli.

Il problema è che quando vengono impiegati dall’io limitato, tempo, energia e persino i talenti daranno un riscontro altrettanto limitato semplicemente perché il vero sé spirituale non può trarre soddisfazione dalle esperienze materiali. A causa di ciò, questi oggetti, benché utilizzati dall’ego come presunti servitori, finiscono per diventare i padroni del sé.

Vi sono due modi di usare tempo, denaro, energia e talenti.

In modo egocentrico, ovvero cercando di soddisfare se stessi a spese degli altri o, quanto meno, ignorandoli: voglio essere felice. Voglio essere amato. Voglio la pace. Voglio sopravvivere. Io, per primo. Ciò genera insoddisfazione ed è, a sua volta, terreno fertile per i conflitti con gli altri. Nell’egocentrismo, cerco di ottenere amore, pace e felicità dalle cose che mi circondano, ma poiché gli oggetti materiali non sono fonti di queste qualità non riuscirò mai ad ottenerle.

Con l’autorealizzazione. Uso quel tanto che basta per mantenere uno stile di vita semplice e confortevole e uso il resto per fare del bene agli altri. Ciò non significa che dovrei dare tutto ciò che posseggo ai poveri. Devo sviluppare uno stile di vita in cui posso continuare a crescere spiritualmente e donare agli altri il beneficio che sperimento nella mia vita. Beneficiando gli altri trovo appagamento. Questo senso di pienezza consente un controllo naturale delle mie situazioni. Nell’autorealizzazione incarno l’idea che dare è ricevere.

Dare e ricevere

La conoscenza delle leggi spirituali mi mette nella condizione di aiutare gli altri. La pratica regolare della meditazione crea una sensibilità nei confronti delle necessità altrui.

Posso donare il più grande diamante del mondo a qualcuno che sta morendo di sete, senza rendermi conto che ciò di cui ha bisogno è l’acqua.

L’ego mi rende cieco alle necessità degli altri. Do consigli con il luccichio di un diamante mentre gli altri hanno solo bisogno di una tazza di pace. Per sapere che cosa dare agli altri e che cosa evitare, c’è una formula molto semplice da applicare alle relazioni. Essa presuppone che io chieda a me stesso:

– Come sto interiormente?

– Come mi sento in relazione all’altra persona?

– Quali sono le qualità principali che apprezzo nell’altro?

– Nell’altra persona c’è qualche difetto che può influenzarmi negativamente e con il quale dovrei confrontarmi?

– Di che cosa ha realmente bisogno in questo momento l’anima che risiede nel corpo dell’altro?

Con la visione di entrambi gli aspetti – vizi e virtù – rifletto su ciò che posso donare della mia ricchezza spirituale per far fronte alle necessità dell’altro.

Lo sviluppo della pratica meditativa rende una personalità talmente intensa da sopraffare a volte una personalità che non sia altrettanto forte. Per questo motivo, è fondamentale essere consapevole di ciascun istante e della condizione di ogni persona che incontro.

In caso contrario, quando è il momento di innaffiare un fiore, potrei metterci la forza necessaria a spegnere un incendio e perciò distruggerlo. Mentre quando è il momento di spegnere un incendio potrei usare solo un rivoletto e non risolvere niente. Ho bisogno di equilibrare ciò che sono realmente e ciò che realmente devo fare della mia vita.

Qui e ora

Il passato ha un peso sul sé e il futuro crea apprensione solo se il momento presente non è stato sfruttato appieno. Immagina di poter apprezzare il vero valore di qualcuno o di una situazione senza alcun pregiudizio o paura, senza l’ombra di ciò che è passato e di ciò che deve ancora arrivare.

Ogni momento è così bello e nuovo che non merita di essere condizionato dai momenti passati o da quelli che non sono ancora arrivati.

Se il 50% della mia attenzione è intrappolata negli avvenimenti di ieri e il 40% è bloccata dall’apprensione riguardo a ciò che può succedere domani, il restante 10% non è sufficiente per apprezzare la bellezza del presente.

Ringrazio il passato per avermi condotto nel qui e ora, per avermi insegnato tante cose. Ringrazio il futuro pieno di nuove opportunità e sfide. Ma voglio vivere nella pace del presente per assaporare il ritmo della vita dentro e fuori di me.

Vedere le virtù

Questa consapevolezza è particolarmente importante nelle relazioni con gli altri.

Quando si incontra qualcuno per la prima volta, è molto difficile essere maleducati. Normalmente si dice qualcosa come:

 «È un piacere conoscerla…».

Se la relazione diventa più stretta, l’incantesimo quasi sempre svanisce con il passare del tempo. Alla spontaneità e alla novità di ogni contatto subentrano la visione di ciò che è accaduto nella relazione e l’incertezza di ciò che potrebbe accadere in futuro. C’è un proverbio che sintetizza questo stato di cose: la troppa confidenza genera scostumatezza. Come mai succede?

Accumulo informazioni non solo riguardo alle caratteristiche positive dell’altro ma anche ai suoi difetti, i quali, sfortunatamente, possono cominciare ad aver la meglio sull’attrazione iniziale. A poco a poco, permetto alla spontaneità della fiducia, dell’accettazione e del perdono di venire intaccata finché la delusione farà svanire la luminosità della relazione.

Quante volte, nell’incontrare qualcuno per una chiacchierata, finisco con il richiamare l’attenzione su un particolare del passato?

Ricordo che durante un corso di Raja Yoga in India, una persona che conoscevo da anni criticò un progetto al quale stavo lavorando. Era solo un malinteso ma, a quel tempo, dimenticai completamente che ero lì esattamente per studiare la scienza della pace.

Mi ricordai di tutte le volte che aveva mosso simili critiche ai miei progetti. Andai a cercarla per farmi spiegare il motivo del suo comportamento. Per raggiungere la sua camera c’era una lunga scalinata. Sembrava che ad ogni gradino mi rimbombasse nella testa quello che le avrei detto:

«Perché lo hai fatto? Mi metti sempre i bastoni tra le ruote».

C’era ancora una rampa di scale, quando improvvisamente mi fermai e ricordai l’essenza della lezione della mattina riguardo alle virtù:

Nella mente dovremmo ritenere soltanto gli aspetti positivi degli altri. Come i cigni costruiscono i nidi solo con materiali di ottima qualità, anche noi dovremmo avere la mente sintonizzata solo sulle cose buone. Non dovremmo essere come le cicogne i cui nidi sono fatti di sterpaglie.

I pensieri presero un altro corso:

Devo riconoscere che ha un coraggio speciale. Grazie al suo coraggio è riuscita a fare molte cose che gli altri non hanno fatto.

Bussai alla porta. Lei mi aprì e mi salutò. Le uniche parole che mi uscirono dalla bocca furono:

«Sono venuto solo per dirti che sei molto coraggiosa».

Lei sorrise, io sorrisi, e da allora non abbiamo più avuto problemi di questo genere.

Discriminazione

Se voglio risolvere un conflitto devo essere capace di discernere ciò che è vero da ciò che non lo è; ciò che è essenziale da ciò che non ha valore; quali aspetti dei vari avvenimenti dovrei portare con me nel mio bagaglio interiore e quali dovrei lasciarmi indietro.

Generalmente, ci portiamo dietro enormi bagagli dal passato pieni di questioni irrisolte. Con un tale fardello non solo di questa vita, ma delle vite precedenti, avanziamo a fatica.

La stanchezza prodotta da questo sforzo non ci permette di rispondere alle persone nel modo più sensibile o positivo. Se qualcuno diventa aggressivo con noi, la reazione è spesso negativa a causa di questa ansia di fondo. Se viaggio senza pesi, tutto diventa più facile.

La prossima volta che ti senti stanco della vita, riporta alla mente un aeroporto, dove i passeggeri si presentano al check-in dei voli internazionali con bagagli di 50 o 60 chili. Hanno un tale carico che sono costretti a ingaggiare un facchino per farsi aiutare. Ora immagina il bagaglio delle nostre numerose nascite che dobbiamo trascinarci inutilmente.

La differenza è che dobbiamo portare il nostro fardello interiore senza neppure l’ausilio di un carrello! Considera, quindi, che cosa hai veramente bisogno di pensare e di portarti dietro.

Relazioni che elevano

Quando sono consapevole di me stesso come essere puro, sereno ed elevato, sono in grado di vedere le stesse qualità negli altri. Se la visione è reciproca, la relazione è salda. Se è fondata su aspetti superficiali quali l’aspetto fisico o le capacità, allora sarà fragile come il guscio di un uovo. Se entrambi i partner sono come gusci d’uovo, si romperanno facilmente.

Una delle principali cause di problemi sociali nel mondo d’oggi è la questione delle relazioni, soprattutto nelle famiglie. Quando le relazioni sono spiritualmente sane, esse ispirano positività in tutti. Prevalgono l’amore, la fiducia e la considerazione.

Nelle relazioni egoistiche, predomina la meschinità e perciò diventano dei vincoli. Nelle relazioni spiritualizzate, il senso del donare funziona da ammortizzatore e le stesse situazioni che prima avrebbero generato sofferenza e confusione, adesso diventano fonte di armonia.

Conclusioni

Probabilmente non potrò cambiare le circostanze esterne, ma sicuramente posso trasformare:

- Il modo in cui le cose mi influenzano.

- Il modo in cui reagisco ad esse.

Nel primo caso, devo capire le leggi fondamentali di cui abbiamo parlato, le quali determinano l’interazione tra me stesso, gli altri e gli oggetti di cui è costituito il mondo. Nel secondo caso, devo avere una sufficiente flessibilità interiore da trasformare le avversità in opportunità. Questa flessibilità è una conseguenza automatica del processo meditativo.

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