pubblicato il 24/04/15

1. I primi passi

Per mostrarti in che modo la meditazione aiuta a vivere una vita più piena, cominciamo con un breve esperimento. Possiamo scoprire il nostro potenziale per costruire un contesto interiore di forza e tranquillità ancor prima di conoscerne tutti i dettagli teorici.
Come prima cosa trova un luogo tranquillo e siediti su una sedia o sul pavimento. Metti una musica dolce e tranquilla e contempla le seguenti idee2.

Meditazione 1
Lascio emergere i miei pensieri… e li osservo… come se fossi un passeggero su un treno… Le scene di oggi, di ieri e di domani scorrono fuori del finestrino… Sento dei rumori intorno a me… Sono consapevole del qui ed ora… Sono circondato dalle cose della mia esistenza – i ruoli, le relazioni, le responsabilità, le abitudini – tuttavia… rimango un osservatore, al centro di tutto questo.
Con molta leggerezza e facilità, la mia attenzione va al centro dell’energia cosciente in mezzo al cervello, sopra e tra le sopracciglia… una piccola stanza interiore dalla quale controllo la mia vita… Penso… osservo… dove io, il passeggero, sono centrato….I pensieri riguardo a ciò che ho fatto… a ciò che devo fare… ai miei obblighi che sono all’esterno del treno… li lascio semplicemente stare… e rivolgo la mia attenzione all’interno, al processo del pensiero…
Penso alla mia vera natura… Lascio le preoccupazioni della mia vita quotidiana e mi concentro sul mio sé interiore… Capisco di essere qualcosa di essenzialmente distinto dall’identità fisica… Un essere pensante… né maschile né femminile… né vecchio né giovane… senza nazionalità… Io sono io, solo questo, senza etichette… senza gli aggettivi che si riferiscono al corpo… colore, nazione, religione… Io sono solo il mio sé… La confusione, l’aggressività, la negatività sembrano lontani da me… non fanno parte della mia essenza… Sono sereno, pieno di amore, senza peso…
Posso liberare il mio pieno potenziale perché riesco a lasciare le catene delle restrizioni e delle etichette che mi trattengono… Mantengo la consapevolezza che io sono un essere di pace… di luce… situato al centro della fronte… Gradualmente… ritorno al momento presente, nel luogo in cui mi trovo e, con gli occhi aperti, mi soffermo ancora un poco in questo silenzio profondo.

Soluzioni reali
Questa breve esperienza mi dimostra che è possibile distaccarmi da ciò che mi circonda allo scopo di ricaricarmi di potere interiore. È possibile raggiungere una profondissima comprensione grazie all’analisi dei miei ruoli, relazioni, responsabilità e abitudini a partire da questo stato mentale distaccato. Se riesco a esaminare l’essenza delle mie situazioni conflittuali o preoccupanti, posso cogliere delle profonde verità al riguardo.
I turbamenti, soprattutto quelli emotivi, hanno origine da qualcosa di più profondo di quello che le ovvie cause esterne suggeriscono. La motivazione è sempre interiore. I problemi e le loro cause hanno la struttura di un albero. Il tronco, i rami, i ramoscelli e le foglie sono visibili, ma non lo sono le radici e di certo non il seme.
Per affrontare situazioni problematiche non è sufficiente potare solo i rami per controllarne la crescita. Io devo comprendere e riconoscerne le radici e i semi. La meditazione mi aiuta a individuarli e a risolverli con maggiore efficacia.
C’è qualcosa di specificamente interiore che richiede di trovare un equilibrio.

Pace, la condizione naturale del sé
È difficile trovare qualcuno che rifiuti l’opportunità di vivere in pace e armonia. Il modo in cui organizzo e cambio la mia vita sembra essere motivato proprio da questa ricerca di equilibrio e pienezza. Mi impegno moltissimo per ottenere delle cose, per stabilire relazioni e ampliare le mie attività professionali e sociali, ma dietro a tutto ciò, ciò che realmente desidero è semplicemente la parte che mi spetta di pace e felicità. Persino la condotta più stramba e più esecrabile può avere alla radice questo tipo di profonda ricerca.
Ricordo quando insegnavo meditazione ai carcerati di una prigione di massima sicurezza a Melbourne. Uno di loro aveva assassinato madre, padre, moglie e figli in un pomeriggio di follia in cui aveva perso totalmente la ragione. A quanto pare, tutti gli rinfacciavano continuamente di non avere un lavoro e la sua palese inutilità in quanto essere umano. Fu questo a provocare uno stato d’ira incontrollabile e la conseguente tragedia. Gli chiesi perché lo aveva fatto e mi rispose che voleva solo un po’ di «pace mentale». Per quanto ciò non possa in alcun modo giustificare un comportamento così orrendo, fu interessante notare che la sua motivazione interna è la stessa di tante gesta più elevate. Ovviamente il modo in cui venne esternata era distorto. Tante mie azioni, sia buone che cattive, hanno al centro un imperativo bisogno di «pace mentale».
Ogni volta che qualcosa mi infastidisce, la reazione immediata è quella di fare i necessari aggiustamenti per raggiungere uno stato di calma. La vita si dipana, punteggiata da situazioni che sono a volte troppo strette e a volte troppo larghe. La cosa buffa è che le tensioni interne nascono esattamente perché una parte di me vuole la pace e un’altra parte mi impedisce di ottenerla.
C’è un giocattolo, di solito con la faccia da clown, che sta in equilibrio su una pesante base di metallo rotonda. Lo si può spingere, dargli un calcio, farlo cadere o qualsiasi altra cosa, ma torna sempre nella sua posizione originale. Può oscillare un poco, ma torna sempre di nuovo in piedi. C’è una profonda lezione in questo semplice fenomeno.
Lo stato naturale di questo giocattolo è quando si trova in posizione verticale. Se tengo la testa premuta contro il pavimento, sento immediatamente la tensione del giocattolo che cerca di tornare alla sua posizione naturale, cioè eretta e senza alcun agente esterno che lo trattenga. Più si trova vicino al pavimento e maggiore è la tensione. È il risultato di due forze opposte: una che cerca di ritornare alla sua posizione naturale e l’altra che glielo impedisce.
Senza addentrarci nei meandri della fisica, notiamo che moltissime reazioni e movimenti che esistono nell’universo sono conseguenza del gioco tra due forze opposte. Una che cerca di mantenere e centrarsi in una posizione naturale e l’altra che agisce in senso opposto. Per esempio, il sistema solare è tenuto insieme dal gioco tra le forze centripeta e centrifuga. C’è una tendenza insita in tutte le cose a ricercare la posizione di massimo equilibrio.
Una reazione chimica avviene quando due o più sostanze, volatili l’una rispetto all’altra, cercano il punto di equilibrio tra loro. Il risultato è una sostanza completamente nuova.
Allo stesso modo, se ho una tensione, questa è il risultato di una lotta tra due forze opposte, una che cerca naturalmente l’armonia e l’equilibrio e l’altra che mi spinge verso interessi che le sono contrari. Se ci fosse solamente una forza non vi sarebbe alcuna tensione.

Una battaglia persa
Invece di sviluppare questa spinta o tendenza innata verso il mio stato interiore naturale, io esaurisco la mia riserva di pace e potere lottando contro le mani (come nell’esempio del giocattolo) che mi tengono giù. Poiché queste mani sono dentro di me, la lotta contro di loro finisce per avere un solo perdente: io!
Quando mi manca la fiducia nelle risorse interiori, finisco per andare alla ricerca di supporti esterni, i quali, inevitabilmente, mi privano di quel poco di pace e stabilità che c’erano prima.
Per ritornare ad essere naturale e pieno di pace, devo solo togliere le mani che mi trattengono giù, sostanzialmente i miei attaccamenti e i desideri limitati. Quando c’è tensione, il fatto di sapere che sono io a mantenermi in questa condizione, facilita di molto i passi in direzione della trasformazione.
Almeno ho individuato il nemico, così non devo più sprecare tempo ed energia lottando contro l’avversario sbagliato. Diventa solo una questione di togliere le mani!

Qualità positive
La pace non è fuori di me. È la mia posizione naturale. Non v’è alcun oggetto, interesse o relazione che possano compensare la mia mancanza di equilibrio interiore.
Con questo convincimento, ho partecipato alcuni anni fa ad un convegno sull’Educazione Olistica a Brasilia, la capitale del Brasile.
Dopo un periodo di riflessione, preparai il mio intervento.
Se educare (secondo la sua radice latina educere) significa sviluppare o portar fuori (educe) il potenziale interiore e non imporlo dall’esterno, dovrebbe essere possibile che le persone si autopotenzino.
Condussi due seminari identici di tre ore ciascuno; uno con un gruppo di brasiliani in portoghese e un altro con canadesi francofoni nel mio francese arrugginito. Facemmo tre esercizi per testare questa idea.

Esercizio 1
I partecipanti furono divisi in coppie. Dopo un periodo di riflessione in silenzio, un membro di ogni coppia raccontava all’altro l’esperienza più felice o più significativa della sua vita in tre minuti esatti. L’altro ascoltava in silenzio e poi gli doveva ripetere quello che più riusciva a ricordare della storia, sempre in tre minuti.
Dopo di ciò, analizzammo ciò che era accaduto e poi elencammo i valori spirituali ritenuti importanti in una comunicazione efficace. Alcuni valori furono i seguenti:

• amore
• rispetto
• considerazione
• empatia
• armonia
• saper ascoltare
• tranquillità
• sincerità
• attenzione
• generosità

Concludemmo che l’essere umano percepisce intuitivamente che queste qualità sono presenti laddove ci sia buona comunicazione. Considerammo anche, almeno teoricamente, il modo in cui queste potevano essere applicate.

Esercizio 2
Formammo nuove coppie con la condizione che non si dovesse conoscere bene l’altra persona. I due dovevano immaginare di essere amici da molti anni e che alla base della loro amicizia c’erano uno o più valori tra quelli elencati precedentemente. Poi dovevano iniziare un dialogo in cui affermavano il loro apprezzamento dell’altro riconoscendogli un particolare valore.
Lo scambio continuò per cinque minuti e fu molto divertente perché ognuno si inventava una storia sull’altro come nel seguente esempio.
Una disse qualcosa come:

Quello che mi è sempre piaciuto nella nostra relazione, Peter, è la tua premura. Ho potuto veramente apprezzarla il mese scorso quando mi sono ammalata e sei venuto a trovarmi. Hai persino portato George che non vedevo da anni!
L’altro rispose più o meno così:
Grazie, Mary. Hai avuto tanto rispetto per me ultimamente. Ho sempre apprezzato la tua generosità. Quando ho saputo che non stavi bene, ho sentito che stavi passando un brutto momento e così…

Dopo una breve relazione su ciò che era accaduto, sia i brasiliani che i canadesi indipendentemente e pur provenendo da culture così diverse, giunsero alle stesse conclusioni.
Benché stessero inventando delle storie basate sui valori indicati, dopo poco ognuno aveva iniziato a sperimentare la proiezione di se stesso attraverso questo semplice gioco. La riluttanza e la timidezza iniziali si trasformarono in una bellissima energia molto tangibile.
Noi percepiamo intuitivamente in che modo i valori positivi riescono ad operare in una relazione.
Sappiamo riconoscere i valori positivi e ci sentiamo molto bene quando vengono espressi.
La parola intuizione era la più ripetuta. Per capire che cosa significasse esattamente questa parola, chiesi loro di fare un altro esercizio.

Esercizio 3
Usando lo stesso elenco di valori, chiesi a ciascun partecipante di fare una conversazione con se stesso, ma ad alta voce. Questo dialogo doveva essere tra la parte razionale e la parte emotiva di sé. Ognuno si cercò un posto nei bellissimi giardini della struttura che ci ospitava e ritornò dopo aver verbalizzato la sua conversazione interiore per quindici minuti.
Ecco un esempio di dialogo interno tra la parte razionale (intelletto=I) e la parte emozionale (mente=M):

I: Quando è stata l’ultima volta che sei stata onesta con me?
M: Due giorni fa, quando ho deciso di seguirti nel tuo progetto di partecipare a questo convegno.
I: Perché? Non volevi venire?
M: No, volevo starmene a casa con i bambini. Johnny non stava molto bene.
 I: Intendi dire che non sei sempre onesta con me?
M: Non sempre. A volte penso che tu sia troppo arrogante, cerchi sempre di darmi degli ordini.
I: Ma io so quasi sempre quello che va bene per noi. Sapevo che questo convegno sarebbe stato importante per la nostra carriera.
M: Sembra che tu non abbia alcuna considerazione per quello che provo io.
I: E tu? Mi spingi sempre a fare cose che sai che non ci sono di alcun beneficio. Johnny non stava affatto male. Poteva benissimo accudirlo Sally.

E il dialogo interno continuava…
Quando le persone ritornarono in sala, analizzammo di nuovo ciò che era accaduto. Alcuni dissero che era la prima volta nella loro vita che avevano parlato seriamente con se stessi. Tutti, indistintamente, scoprirono qualcosa di nuovo circa i propri processi. La donna, che aveva avuto con se stessa la conversazione precedente, scoprì perché non stava traendo molto beneficio dal convegno – una parte di sé voleva stare lì, ma l’altra no. Le conclusioni furono ugualmente unanimi.
Era stato importante verbalizzare la conversazione in modo da rendere impossibile fuggire o nascondersi da ciò che stava avvenendo interiormente. (Normalmente è facile ignorare i pensieri spiacevoli se si presentano solo sul piano mentale o submentale. La verbalizzazione costringe ad affrontarli).
Tutti percepirono che all’inizio c’era una disarmonia tra la parte razionale e quella emozionale. Inoltre ebbero la sensazione che entrambe le parti erano pronte ad agire insieme verso uno stato d’essere più armonico.
Dopo gli esercizi rimasero seduti in contemplazione della propria esperienza. Fecero una riflessione sul fatto che i valori che avevano elencato fossero in qualche modo innati ed intuitivi. Sono dentro di noi, attendono solo l’opportunità di rivelarsi nella nostra vita. Mancava solo la chiave per farli emergere.
Il conflitto interiore esiste perché spesso voglio cose che so intuitivamente che non saranno di beneficio oppure so cose che non voglio conoscere. Ciò che voglio e ciò che so si combattono reciprocamente e producono un senso di inquietudine. Quando ciò che si vuole e ciò che si sa sono in armonia, c’è pace. Questo vuol dire anche che quando so esattamente che ciò che voglio è buono e voglio solo quello, riesco ad essere felice.
Intuitivo significa ciò che viene percepito direttamente senza passare attraverso il normale processo del ragionamento. In riferimento all’esperienza descritta, sembra che ci sia qualcosa dentro di noi che scopre direttamente ciò che è buono e ciò che non lo è. Gli stessi partecipanti giunsero alla conclusione che questo qualcosa è proprio il nostro stato naturale di pace e armonia.
Quando giungemmo a queste conclusioni, comprendemmo il vero significato di educazione. Dentro di noi c’è un potenziale verso il bene che deve essere scoperto e rivelato.
Per approfondire maggiormente questo punto, dobbiamo comprendere sempre il l’«io» a cui ci riferiamo quando parliamo di noi stessi.

Che cosa significa «dentro di me»?
L’espressione «dentro di me» sembra emergere ogniqualvolta cerco di esprimere una pulsione interna, un sentimento, un valore o un’idea. Tuttavia, raramente vado oltre la comprensione superficiale di queste due parole e che cosa esse implicano profondamente.
L’espressione Io viene usata per riferirsi a se stessi. L’aggettivo mio denota un senso di proprietà correlato in modo particolare al corpo: il mio corpo, il mio cuore, il mio cervello, la mia mano ecc. Sarebbe assurdo dire io naso invece di il mio naso! Quando indico la testa, il torace o lo stomaco, sto solo indicando il mio corpo. Il me dell’espressione di cui sopra si riferisce ovviamente all’individuo dentro la macchina che è il corpo umano. Paragonando il corpo a un’automobile, il conducente sarebbe l’essere o il vero sé.
Il conducente non si rivolge al sedile posteriore o al vano portaoggetti utilizzando le parole dentro di me, internamente o qualcosa di simile. Allo stesso modo, non posso dire dentro di me indicando il torace o la testa.
Quando dico, lo sento dentro di me, indicando il cuore, potrebbero essere le emozioni che fanno battere il cuore più velocemente o più lentamente. La loro origine non all’interno della cassa toracica, ma dentro l’anima. Il cuore è solo una pompa molto sofisticata per far circolare il sangue che può persino essere trapiantata! Dentro il vero me, l’essere vivente e pensante, c’è un centro di emozioni con le quali devo confrontarmi.
Il me nell’espressione dentro di me si riferisce all’essere pensante che usa il corpo per manifestarsi. Come si vede nell’immagine seguente, il corpo è un filtro tra il sé o l’io e il mondo.    
Attraverso il corpo io esprimo desideri ed idee, come pure sperimento il mondo e il modo di rappresentare il mio ruolo in esso.

Dopotutto, io sono il conducente, devo trovare il modo di guidare meglio sulle strade della vita. Devo imparare a rispettare gli altri conducenti o esseri individuali e le regole del codice della strada (le leggi della vita). La principale difficoltà consiste nell’organizzare la mia vita in modo da riceverne un senso di benessere e pace e non di disordine e conflitto.
Il corpo non solo non può vivere senza l’essere, ma non può nemmeno fare il benché minimo movimento senza la sua partecipazione. Tutto ciò che affiora nel sé sotto forma di desideri, progetti e sentimenti, viene elaborato, e le indicazioni necessarie vengono inviate ai piedi, alle mani, alla bocca ecc. È solo allora che gli arti e gli organi si muovono per mettere in atto gli impulsi provenienti dal sé. Per esempio, se io, l’essere, voglio dire qualche cosa, formulo la frase e metto in funzione la bocca affinché la enunci. Uso il cervello come un pannello di controllo. Se paragonassimo il cervello a un computer, io, l’essere, sarei il programmatore, l’operatore e, forse, persino l’analista del sistema. Il cervello-computer è in se stesso qualcosa di meraviglioso, ma se il programmatore è un inetto, altrettanto lo saranno i suoi programmi. La collocazione più logica per questo centro di coscienza si trova al centro del cervello, dove si incontrano tutti i sistemi.

Dalla polvere alla polvere…
Il corpo fisico è costituito di aria, acqua e degli elementi che vengono ingeriti come cibo. Quando il feto si trova nell’utero della madre, sono il cibo e i liquidi che lei ingerisce a formare gli atomi e le molecole utilizzati nella riproduzione cellulare. Dopo nove mesi, quel corpicino nasce e da allora in poi, il piccolo si assume la responsabilità di mangiare e digerire il suo cibo personale. Non c’è atomo nel suo corpo che non provenga dall’ingestione o dalla respirazione. Tutti gli atomi di carbonio, azoto, fosforo, calcio, ossigeno, idrogeno, ferro ecc. che costituiscono il corpo hanno avuto questa medesima origine.
Quando ho davanti un piatto di cibo, so molto bene di essere diverso da esso. Sarebbe assurdo supporre diversamente. Tuttavia, quando sono davanti allo specchio e guardo il mio corpo, che è letteralmente il risultato di tutti gli alimenti che ho assunto nella mia vita, dimentico di essere diverso da lui. Ciò dimostra la credenza profondamente radicata nelle varie religioni che il corpo proviene dalla materia e ad essa ritorna. Anche il più scettico riesce a comprendere a formula liturgica cristiana: «Polvere tu sei e in polvere tornerai».
Se lo sforzo di considerare l’anima come un essere con un’esistenza separata dal corpo fisico sembra arduo, allora rifletti su questo assunto: io non sono il mio corpo così come non sono un piatto di cibo!

L’interfaccia con la vita
Uno dei punti fondamentali del pensiero sistemico consiste nel comprendere che nulla è isolato. Tutte le cose sono interrelate. Per quanto riguarda la mia relazione con il mondo circostante, la mia condizione interna influenza la mia coscienza superficiale la quale, essendo in contatto con le cose circostanti, le influenza a loro volta.
È anche vero il contrario. Il mondo e le sue situazioni specifiche, dalle più esilaranti alle più deprimenti, toccano la superficie esterna della mia coscienza. Questo effetto, a sua volta, raggiunge il controllore interiore e alla fine provoca alterazioni a livelli più profondi. Più sono interiormente forte e maggiore è la possibilità che ho di rimanere saldo di fronte alle difficoltà esterne.
Questo perché il sé interiore controlla gli stati d’animo, le emozioni, i livelli di stress o di rilassamento come pure la qualità delle mie relazioni con tutto e tutti. È la condizione del sé interiore che consciamente o inconsciamente determina tutti i miei pensieri, quello che dico e quello che faccio. Questo è il meccanismo grazie al quale la consapevolezza di sé può portare cambiamenti da dentro a fuori.

Il flusso dell’energia cosciente non solo si riversa nel mondo esterno, ma l’effetto che produce richiama una certa forma di risposta. Quando si lancia un sasso in un lago, si formano delle piccole onde che si propagano in cerchi concentrici. Quando quelle increspature raggiungono l’altra estremità, ritornano indietro al punto di origine.
Allo stesso modo, qualsiasi pensiero io crei è come se lanciassi un ciottolo nel lago dell’atmosfera che mi circonda. Le parole sono come sassi più grossi che causano conseguenze maggiori. Le azioni sono pietre ancora più grandi.
I pensieri, le parole e le azioni che provengono dal sé, producono un effetto specifico sul mondo o sugli altri. Poiché sono io il responsabile dell’effetto causato, presto o tardi esso ritornerà a me. Ciò significa che se io sono triste, è perché nel passato o nel presente ho causato dolore a qualcuno. Se mi sento felice, la ragione è che rendo oppure ho reso felice altri (vedasi i capitoli 4 e 5 per maggiori dettagli).
Quando i miei pensieri, parole ed azioni sono in sintonia con i miei livelli più profondi o innati dove risiedono il senso di pace, di amore e di felicità, le situazioni cominciano a risuonare dentro di me, facendo vibrare il mio sé più profondo con un senso di benessere.

Quando creo atteggiamenti, valori e stati d’animo che non sono in sintonia con quelli innati, essi producono un senso di disagio. Se arroganza, aggressività e conflitto facessero parte della mia condizione naturale, mi procurerebbero un senso di piacere e soddisfazione e non il tumulto e l’angoscia che normalmente producono. Se la violenza mentale, verbale o fisica fosse la mia condizione naturale innata, io ne sarei completamente appagato e sarei riluttante a discostarmene. Invece il fatto che cerchi di liberarmene mostra che queste condizioni non sono naturali per me. Anche se qualcun altro si arrabbia con me gli dico di calmarsi! Se il tentativo di trascendere la violenza e il conflitto fallisce, si può generare ulteriore confusione, frustrazione o ansia.
D’altra parte quando riesco ad essere autentico, cioè sincero con me stesso nel mantenere amore incondizionato e altre qualità simili, divento immensamente soddisfatto perché tali sentimenti sono in sintonia con il mio stato d’essere più profondo.
Tutte le volte in cui partecipo a dialoghi formali con vari gruppi di persone, ne traggo sempre un senso di consolante sollievo quando i partecipanti riescono ad essere sinceri e onesti. È come se l’onestà aprisse i cuori.
Devo solo affermare costantemente che è mio diritto inderogabile vivere in pace – con me stesso, con gli altri, con tutto.
Se sento che c’è una differenza tra ciò che sono e ciò che vorrei essere, oppure che la mia ragione e le emozioni sono in contrasto quando si tratta di decidere che cosa fare, l’unica opzione che mi rimane è quella di trasformare il modo in cui vedo me stesso e la mia relazione con il mondo circostante. Nel far ciò devo fare attenzione a non cadere nella trappola dell’affidarmi a ciò che già conosco e chiudermi così a nuove opportunità come la rana del lago nella storia di apertura. In altri termini, è possibile che io abbia confinato la mia comprensione in una zona di comfort dalla quale confronto tutte le nuove informazioni. Ciò che si confà al mio modo di pensare, lo accetto. Ciò che è in contrasto con i miei preconcetti, lo rifiuto senza prendermi il disturbo di entrare nel merito. Un simile modo di ragionare è un’ulteriore barriera alla vera autotrasformazione.

Passi verso la crescita spirituale
Il primo passo è semplicemente quello di decidere di trasformarsi: io posso e voglio cambiare. Se possiedo la conoscenza e gli strumenti giusti affinché accada, oppure un proposito preciso che accenda il mio entusiasmo, la crescita personale è alla mia portata.
Il secondo passo consiste nel comprendere in che modo funzionano i miei pensieri, i ragionamenti, le emozioni e i sentimenti. Comprendere il funzionamento interiore del sé riguardo al mio contesto personale, professionale e sociale, è il carburante necessario ad accendere la lampada del mio entusiasmo per il cambiamento.
Il terzo passo è quello di mettere in pratica la comprensione. Quando introietto ciò che comprendo, poi ne faccio esperienza. Questo mi dà la forza di progredire. Comincio con il coltivare alcune idee positive e osservo i cambiamenti che avvengono interiormente. Qualsiasi conquista mi dà il coraggio di proseguire nella ricerca di vittorie ancora maggiori sui miei tratti negativi.
Il quarto passo consiste nell’evoluzione stessa e nelle sue conseguenze.

I ruoli
Tempo fa incontrai un amico, un uomo di affari australiano, proprietario di cinque imprese molto floride nel campo dell’edilizia. Cominciava allora a interessarsi alla meditazione. A un certo punto, durante la conversazione, gli chiesi se riteneva di essere in grado di occuparsi personalmente di tutte le attività necessarie a gestire anche una sola delle sue società: procacciarsi nuovi clienti, acquistare le materie prime, fare i preventivi, strutturare i piani strategici e di mercato e infine stampare e spedire tutte le lettere e le e-mail.
Scosse la testa in segno di diniego, e io lo incalzai con un’altra domanda: Come si sarebbe sentito dopo una giornata così intensa?
Sorridendo, rispose che sarebbe stato completamente fuso. Poi continuò nella descrizione di come aveva organizzato le sue imprese. Le aveva acquisite separatamente, ma dopo un certo tempo aveva deciso di creare un’amministrazione centralizzata per tutte e cinque dal momento che tutte riguardavano l’edilizia. Snellendo l’organizzazione, riuscì a suddividere i compiti e le responsabilità e nel contempo risparmiò una fortuna in termini di costi generali.
Arrivammo così alla definizione di «buon amministratore»: un osservatore/controllore che sappia che cosa, come, quando e a chi delegare alcune mansioni, o reparti, qualcuno che stia al centro e diriga il lavoro come un direttore d’orchestra e faccia tutto in base a una serie di principi e valori chiari.
Giungemmo alla conclusione che la nostra vita è un esercizio di vari reparti che richiedono ruoli e responsabilità specifici. Con i figli devo fare il genitore, con i miei genitori devo fare il figlio, al lavoro devo fare il direttore, l’impiegato o il collega. Nel corso degli anni, devo fare la parte di neonato, bambino, ragazzo, adulto, anziano, amico, conoscente, cittadino, studente, consumatore, l’elenco è infinito. A seconda del ruolo che rivesto in ciascuna situazione emergono automaticamente i rispettivi pensieri, le parole e le azioni.
Immagina la struttura della impresa che sono io: Azienda ME. Se l’amministrazione dei vari reparti è inefficiente, la conseguenza della confusione generale sarà la perdita di controllo. 

In queste condizioni salto da un reparto all’altro, come una scimmia forsennata sui rami di un albero. Non do o non riesco a dare a me stesso la minima opportunità di attuare un’amministrazione efficace. Salto dalla coscienza-lavoro alla coscienza-famiglia, alla coscienza-amicizie e tempo libero, di nuovo alla famiglia, al lavoro, allo studio… Diventa un circolo interminabile di azioni e reazioni che portano solo allo sfinimento.
Se cerco di fare tutto senza andare al centro e creare uno spazio tranquillo in cui posso essere IO (il mio vero sé innato) e non solo una funzione dei miei ruoli e responsabilità, inevitabilmente finirò con l’esaurirmi. In questo stato di scarsa ispirazione abbandono il mio status di essere umano e divento un umano che fa! Se l’ordine uno dei principali fondamenti del progresso, allora la base del progresso di sé l’autorganizzazione.
In quanto amministratore della mia vita, ho bisogno di stabilire e conservare il mio spazio personale: un luogo dal quale vedere e controllare le cose mentre lavoro per il successo della mia esistenza. Senza questa centralità, la mia vita può o è già diventata eccessivamente frustrante o logora.
La mancanza di realizzazione spirituale può farmi retrocedere dallo status di abile attore sul palcoscenico della vita a quello di membro della platea, da dove sono costretto a osservare il progresso degli altri. Ammiro e apprezzo coloro che sanno organizzare la loro vita restando in pace nonostante il caos circostante. Allo stesso tempo cerco scuse per giustificare la mia mancanza di coraggio per cambiare e diventare ciò che ammiro.

Creare il mio spazio personale
Da bambino ho fatto l’insopportabile esperienza di dover trascorrere cinque mesi in un letto di ospedale perché, in seguito a un grave incidente, ebbi una brutta frattura a una gamba e una vertebra della colonna lesionata. Con la gamba in trazione, muoversi era estremamente difficile. Quando finalmente fui liberato da questa posizione scomoda, i muscoli della gamba avevano perso la loro tonicità a causa dell’immobilità. Dovetti imparare a camminare di nuovo. Fu solo dopo altri due mesi di fisioterapia che mi fu possibile cominciare a giocare con gli altri bambini.

Allo stesso modo i miei muscoli spirituali si atrofizzano se continuo a vivere limitandomi alle relazioni illusorie che stabilisco con oggetti e persone. Poiché premono da tutte le parti, mi costruisco da solo la mia prigione.
Immagina come si sente un recluso quando guarda le sbarre e sogna la libertà dall’altra parte. Nel caso del sé, i lacci che mi tengono giù non sono concreti, fisici. Sono solo i legami dell’attaccamento, dell’orgoglio, dell’attrazione, di ciò che non mi piace, delle abitudini e dei miei desideri egoistici. Sono questi che mi spingono e mi tirano, creando vari livelli di prigionia. Dall’interno di questa prigione ambulante, io osservo e analizzo il mondo esterno attraverso le sbarre delle mie negatività. Senza neanche accorgermene, la prigione si sposta con me dovunque io vada dandomi una certa illusione di essere libero. Saluto gli altri attraverso le sbarre e anche gli altri mi salutano attraverso le loro. Vedo il mondo non come è, ma a seconda di come sono io in un dato momento particolare.                                            
Forse uno dei paradossi più grandi della società moderna è che riconosciamo che la causa dei nostri problemi consiste in un egoismo di base che nasce senza alcun dubbio dalla ricerca individuale di libertà. La contraddizione sta nel fatto che ci viene detto che il modo di essere liberi consiste nell’assecondare proprio quei desideri egoistici che sono la causa dei nostri legami. Il consiglio del giorno è: «Se provi rabbia, allora urla; se ti senti triste, piangi». Concedendo a queste emozioni la libertà di fare ciò che vogliono, forse proverò un sollievo momentaneo, ma con il tempo tenderanno a rinforzare le sbarre.
Creare uno spazio per se stessi non significa sostituire una cella con un’altra. Anche se sembro un uccello in gabbia, ho pur sempre delle ali che, con un piccolo sforzo, possono recuperare la loro funzione originaria. La porta della gabbia si apre abbastanza facilmente. Certamente la volontà di uscire e volare non manca. La sola cosa che manca è la forza.
C’è la storiella di un pappagallo, Joey, che soffriva giorno e notte stando in gabbia a guardare gli altri uccelli che svolazzavano e giocavano in libertà. Gli uccelli erano dispiaciuti per Joey e un giorno decisero di aprire la porta della gabbia. Uno di loro disse:
«Guarda Joey, la porta è aperta, adesso puoi uscire».
Joey guardò la porta per un po’ e poi si mise a ripetere:
«Guarda, Joey, la porta è aperta. Adesso puoi uscire. Guarda, Joey, la porta è aperta. Adesso puoi uscire. Guarda, Joey…».
Spesso la soluzione giusta è proprio davanti a me, ma per mancanza di coraggio, non l’afferro e non la faccio mia. Al contrario, continuo a ripetere la formula della libertà a me stesso, agli altri e persino al cielo senza mettere in atto le misure necessarie per diventare libero.
Immagina un paziente che legga e rilegga la ricetta del medico senza neppure andare in farmacia per comprare le medicine, per non parlare di assumerle!
Una scusa molto comune per non cambiare, o per non iniziare il processo che potrebbe darmi spazio e libertà è che non ho tempo!
Gli impegni di casa, lavoro, famiglia e studio sono abbastanza concreti e dovrebbero essere affrontati con coraggio. Indubbiamente, questi sono gli ingredienti normali dell’esistenza, a meno che non decida di isolarmi e vivere da eremita. Se fossi veramente onesto con me stesso, capirei che il vero problema non è la mancanza di tempo, ma la mancanza di un’autogestione adeguata.           

Autogestione
Quando riesco ad essere me stesso al centro della mia vita, senza essere solo una funzione dei suoi reparti, posso realmente risparmiare tempo, energia e persino soldi nella gestione delle varie situazioni, come si vede nel diagramma sopra. Questo è ciò che mostrai al mio amico imprenditore australiano. Con il vero sé al centro, l’amministrazione è centralizzata e naturale. Quando devo rivestire un ruolo o liberarmi di una responsabilità, esco dal mio senso interiore di identità personale. Quando porto a termine il lavoro, vi ritorno di nuovo.
In questo modo posso osservare e organizzare la mia vita senza la consueta pesantezza o sofferenza. Posso essere veramente me stesso senza le distorsioni che provengono dalle influenze esterne. Invece di correre continuamente di qua e di là, rendo la mia esistenza più finalizzata. Le richieste di energia di cui ho bisogno per far fronte alle difficoltà e agli ostacoli che sorgono, diminuiscono.

Mi focalizzo sulla consapevolezza che sono un essere di pace (vedasi Meditazione 1). Svolgo i miei compiti e ritorno alla mia normale tranquillità e armonia. Al lavoro, con la famiglia o nelle altre circostanze, faccio quello che devo fare, dico quello che devo dire e ritorno alla pace interiore. In questo modo, la mia vita, per quanto sia estremamente impegnata, diventa più ordinata, senza ostacoli e certamente meno stressante.
Se, partendo da questa semplice presa di coscienza, decido di trasformare me stesso, devo avere un chiaro obiettivo per passare da una semplice comprensione ad una vera concretizzazione. Fermezza, positività e obiettività sono tra i primi frutti del mio impegno verso l’autogestione.
Se mi stabilizzo innanzitutto nel mio stato d’essere innato, svolgo il compito e poi ritorno dopo averlo completato, ecco che diventa un vero piacere. Provaci e vedrai.

Libertà
Nella stessa struttura carceraria di cui ho parlato in precedenza, il mio scopo era quello di insegnare i principi della meditazione ad un gruppo di circa trenta detenuti condannati all’ergastolo, gran parte dei quali considerati pericolosi. Le difficoltà furono enormi. Dopo le prime sedute e una volta esauriti bestemmie e sarcasmo, fu possibile condividere insieme qualcosa di importante. Furono loro stessi a giungere alla conclusione che la libertà è qualcosa di interiore. In questo senso, essi potevano aspirare ad essere più liberi di tanti che vivevano fuori dalle mura della prigione.
Se non mi organizzo uno spazio libero interiormente, nel quale posso ritirarmi in qualsiasi momento, dovunque mi trovi, non sarò mai in grado di ricaricarmi di forza spirituale.
Posso avere tutto ciò che il materialismo può offrirmi, tutti gli amici e il bene possibile ma, dietro le grate della debolezza, delle illusioni e di ricordi poco piacevoli che ancora mi porto dentro, la vera libertà e la soddisfazione interiore saranno sempre fuori dalla mia portata. Convinti di questo aspetto, i detenuti cominciarono a capire in che modo il processo della meditazione poteva aiutarli ad affrontare il resto della loro condanna.

L’impegno principale
Come abbiamo visto, la vita può diventare così piena di impegni, doveri e obiettivi che rimane a malapena il tempo per qualcos’altro che non sia ciò che è strettamente necessario. Tuttavia, se continuo con questa mentalità, non mi avvicinerò mai alla frontiera della scoperta di me stesso e ancor meno attingerò al potenziale che la crescita personale può offrire.
Per raggiungere una meta così elevata, devo introdurre dei cambiamenti nel mio modo di pensare, di vedere e di comprendere affinché ogni volta che una informazione mi colpisce profondamente, sarà già stata passata al vaglio di un processo automatico di epurazione. Rimuovendo le connotazioni negative, qualsiasi informazione può stimolare risposte positive. Di conseguenza, ogni situazione diventa non solo una sfida alla mia comprensione, ma anche un interrogativo: fino a che punto metto realmente in pratica ciò che ho compreso?
La meditazione Raja Yoga non è una formula magica che posso applicare due o tre volte al giorno per cui, per miracolo, divento una riserva sconfinata di pace amore e gioia. E neanche posso rimanere in attesa che qualcuno arrivi e mi salvi, non importa chi, amico, maestro, profeta oppure qualche spirito disincarnato che canalizzi messaggi dall’aldilà.
O mi trovo sulla barca della mia vita che va nella direzione che scelgo, oppure sarò spinto e strattonato dalle correnti caotiche che mi circondano. Che la barca affondi o proceda nonostante gli scossoni provenienti dalle circostanze esterne, dipende al cento per cento da me. Qualsiasi gioia o sofferenza mi giunga è una conseguenza della mia navigazione.
In ogni caso, devo costantemente riaffermare la mia libertà e il controllo attraverso la meditazione.

Meditazione e attività
La domanda è: quando mi trovo impegnato nelle varie attività della vita, dove posso praticare la meditazione o lo studio necessari alla mia crescita? Quando mi resi conto che era su questo che dovevo impegnarmi, scoprii con gioia che invece di ritirarmi dal mondo, potevo includervi la meditazione. Imparai che vi sono due tipi di meditazione.

1. La meditazione seduta
Richiede introspezione e quindi significa che devo temporaneamente staccare i miei pensieri da impegni e attività. Generalmente, le prime ore del mattino, prima di farsi coinvolgere dalla routine quotidiana, è il momento migliore a questo scopo. Questo tipo di meditazione può essere ripetuto immediatamente prima di andare a dormire come modo di concludere in bellezza le attività della giornata. Ho notato che alla pratica della meditazione serale fa seguito un sonno riposante e ritemprante.

2. Meditazione durante le attività quotidiane
È buona cosa fermarsi ogni ora o due per due o tre minuti per controllare la direzione dei pensieri e ricaricarsi interiormente. È una specie di controllo del traffico dei pensieri. Oltre a ciò vi sono due o tre elementi che aiutano a mantenere lo stato meditativo durante le attività:

a. Prospettiva chiara
Immagina qualcuno che sta passeggiando in montagna e che ad un certo punto si trovi davanti a un grosso masso che gli blocca il cammino. Dopo aver tentato inutilmente di spostarlo con le mani, si arrende, stanco e deluso per la sfortunata situazione. Ma lo stesso masso, visto da un pilota che si trovasse a percorrere in volo il medesimo tragitto, non costituirebbe affatto una difficoltà. È sempre lì, ma poiché lo vede da una prospettiva diversa e dall’alto, continua senza percepirlo minimamente come un problema.
Allo stesso modo, indipendentemente da quanto spiacevole possa apparire una situazione, essa può essere sempre vista da una prospettiva più elevata. La modalità meditativa è come un aeroplano dal quale posso vedere i passi che ho fatto per arrivare là dove mi trovo ed anche quello che c’è dopo. La visione del passato, presente e futuro di ogni circostanza mi aiuta a mantenermi leggero e senza preoccupazioni. Di conseguenza prendere decisioni è più facile.

b. Una corretta nozione di sé
Con una idea chiara della mia vera identità in quanto sé innato, un essere di energia cosciente, distinto dal corpo, ma operante attraverso di esso, posso avvicinare le persone e affrontare le mie responsabilità con una consapevolezza più elevata. Con il tempo questo atteggiamento diventa facile e disinvolto.
Quanti tra le migliaia di pensieri quotidiani sono connessi con il sé mondano?

Ho fame. Ora devo lavarmi i denti. Ho un appuntamento alle dieci con Tizio o Caio. Quando avrò i soldi mi comprerò una macchina nuova…

Vi sono molte opportunità per verificare se l’io al quale sto pensando è il vero sé interiore o semplicemente l’io corporeo ( la percezione che il sé sia il nome, la forma, il ruolo del corpo).

c. Obiettivo chiaro
Se uno straniero arriva in una grande città e vuole andare nella piazza principale, ha bisogno di indicazioni. Se le indicazioni sono giuste e c’è un buon margine di certezza che lo siano, allora i passi che farà per giungervi saranno decisi e sicuri.
Se potessi rappresentare la mia intera esistenza come una linea tracciata su un foglio, dalla nascita fino al momento attuale, come sarebbe? Forse una pagina piena di scarabocchi, con molti cambi di direzione e di linee interrotte in molte direzioni. Un obiettivo chiaro aiuta a tracciare linee nette.

L’obiettivo dell’impegno spirituale indicato in questo libro è quello di rafforzare il sé. Per quanto il mio presente possa essere gravido di aspetti negativi, l’obiettivo è tuttavia perfettamente raggiungibile. Poiché essere spiritualmente potente fa parte della mia condizione interiore innata, rende tale stato perseguibile. Fa parte dell’esperienza dimenticata di tutti noi. Devo solo tornare ad essere ciò che ero!
Il Raja Yoga è uno strumento che può aiutarmi a ravvivare il mio potere spirituale. Se dirigo anche un unico, piccolo sforzo verso questo obiettivo elevato, in seguito resterò piacevolmente sorpreso del meraviglioso potenziale sepolto dentro di me.
Tempo fa stavo spiegando alcuni di questi punti fondamentali a una dirigente molto impegnata quando questa obiettò che ciò che le stavo dicendo era impossibile da mettere in pratica nel mondo caotico in cui si muoveva, ed io risposi che se capivamo il meccanismo che sostiene la pratica della meditazione, tutto era possibile. Perché non avere comunque un obiettivo elevato?
Ribatté che dopotutto era solo un essere umano e non un angelo. Io dissi che anche se non avevamo un obiettivo elevato, almeno potevamo provare ad averne uno. Alla fine fu d’accordo che in tutti c’è la possibilità di migliorare. Ecco come un chiaro obiettivo diventa l’ispirazione per muovere ogni passo.
La breve conversazione che ho riportato mostra la reazione di molte persone quando sentono le parole «impegno spirituale». La pigrizia contrasta fortemente il miglioramento personale. Persino la parola impegno sottintende una gran fatica. Ciò nonostante, è mio diritto innato migliorare la mia visione, le attitudini e i comportamenti. Senza un obiettivo tutto questo è veramente impossibile.

Meditazione ad occhi aperti
Imparare a meditare sin dall’inizio ad occhi aperti è molto vantaggioso per la nostra vita pratica. Posso tenere i pensieri su un livello elevato mentre cammino, parlo, cucino, guido e svolgo altre attività manuali. Ciò significa che le mie mani possono essere occupate in un lavoro qualsiasi mentre la mente rimane completamente tranquilla. Mi aiuta ad imparare a lavorare con maggiore efficienza dentro e con il mondo circostante.
Non vedo il mondo come un potenziale fattore di disturbo alla mia condizione mentale, ma qualcosa con cui confrontarmi ad occhi aperti. Se non chiudo naso e orecchie quando medito, perché dovrebbe essere necessario chiudere gli occhi? Con un po’ di pratica la concentrazione ad occhi aperti diventa facile.

L’esperienza della meditazione
La meditazione Raja Yoga è uno stato contemporaneamente vigile e rilassato. Questo tipo di meditazione non si associa al rilassamento che sconfina nel sonno. Può essere descritto come uno stato di tranquilla vigilanza. Lo scopo è quello di raggiungere un equilibrio tra uno stato di pace e la piena percezione.
Per esempio, se sto meditando e suona il telefono o il campanello, posso facilmente rispondere senza dare l’impressione che sono appena tornato da uno stato di trance. Non devo separarmi dalle normali attività quotidiane né devo attendere lunghi minuti per riprendermi dalla meditazione.
Camminare per strada è un esempio di come posso svolgere una semplice attività mentre la mia attenzione è rivolta a qualcosa di più importante. Ho scoperto che devo impegnare solo una piccola parte della mia attenzione per evitare gli altri pedoni, i segnali stradali, le auto ecc. Posso rivolgere gran parte dell’attenzione a pensieri correlati a questioni più esistenziali o progetti per il futuro. È esattamente questa abilità mentale naturale di dividere l’attenzione ad essere usata nella meditazione. Il mondo dei rumori e del movimento continua a girarmi intorno, ma allo stesso tempo io posso immergermi nei poteri e nelle virtù interiori.
La mia attenzione interiore è impegnata a costruire una scaletta mentale con una sequenza di pensieri positivi correlati alla mia realtà essenziale. Dopodiché, posso risalire e rimanere al di là di ogni influenza negativa. Inoltre i miei riflessi divenuti più pronti mi aiutano a reagire bene a qualsiasi emergenza che possa presentarsi.

Meditazione 2
Per questa meditazione tieni gli occhi socchiusi. L’obiettivo è quello di creare la consapevolezza che la tua esistenza è qualcosa che ha a che fare con la materia, ma allo stesso tempo ne è separata. Noterai che il respiro diventa automaticamente più disteso e le funzioni corporee molto calme.
Allora, cominciamo. Se vuoi, puoi mettere una musica dolce in sottofondo. Mettiti seduto comodo e porta delicatamente la tua attenzione su un punto al centro del cervello (qualche centimetro dietro il punto al di sopra e tra le sopracciglia) dove ha luogo l’attività del pensiero e crea coscientemente i seguenti pensieri:

Sono consapevole di ciò che accade intorno a me… Allo stesso tempo mi percepisco come una entità distinta… osservo i vari ambiti della mia vita… la famiglia, il lavoro, gli amici, lo studio, il tempo libero… con un senso di distacco e libertà.
Ora, al centro dei miei processi di pensiero, sento di essere un essere di pace… il sé autentico… il pilota di questo corpo, situato tra le sopracciglia… da dove io, anima, un punto di energia cosciente, comando e controllo tutto... Sono consapevole che non potrà esservi alcun movimento, per quanto minimo, dei miei arti senza il mio consenso…
Visualizzo questo punto a forma di stella che sono e sono sempre stato… un’energia vivente… un piccolo sole nel corpo che gli infonde vita… Io sono l’anima… il corpo è il mio abito…
Io sono il sé innato… Sono ciò che continua… Sono venuto in questo corpo e in qualche momento nel futuro lo lascerò… Non ho dimensione… Sono un essere di luce… Una stella minuscola… Adesso sono totalmente concentrato ad irradiare la luce e la pace del mio stato interiore come una torcia…


Note
2. Puoi anche registrare la tua voce lentamente e poi riascoltarla.
 


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