pubblicato il 15/12/22

Yogesh  Sharda

Perché dovrei perdonare? Quali sono i benefici del perdono e quali sono i danni del non-perdono?
In essenza, dobbiamo perdonare se vogliamo essere liberi e la libertà è un prerequisito per la felicità.

Supponiamo che qualcuno ti abbia fatto un torto e mantieni quel ricordo nella mente, chi soffre di più?
Sarai tu a soffrire maggiormente perché è come essere in una prigione mentale e reso l’altro il guardiano della tua prigione.
Immaginiamo di essere ad una festa e quella stessa persona (quella che ti ha fatto un torto) entra dalla porta. Penserai: - “chi l’ha invitato?” Al solo vederlo la tua pace scompare…. In quel momento non sarai libero ma in una sorta di prigione mentale; la si può chiamare “la sindrome della prigione portatile”, perché viene ovunque tu vada.

Ma la cosa incredibile è che ti sei messo in prigione da solo e tu solo ne hai la chiave. Ti potresti liberare, ma perché non usi la chiave? Sai cosa fare? Allora perché non lo fai?

Prendiamo l’esempio dell’uccellino e della gabbia. Un uccello è un abitante del cielo e ama essere libero. Un giorno qualcuno lo cattura e lo mette in gabbia. L’uccellino è infelice, triste e sogna di uscire dalla gabbia. Un giorno il padrone apre la gabbia per pulirla ma suona il telefono e lui si allontana dimenticando la gabbia aperta. Ora la porta è aperta, la libertà è disponibile, ma cosa fa l’uccellino? Rimane in gabbia. Perché? Perché ha reso la gabbia la sua nuova casa! All’inizio stava scomodo ma poi è adattato, dimenticandosi come volare. La perdita di identità, la perdita della memoria della vera appartenenza, sono come ali che hanno smesso di funzionare.

Lo stesso vale per noi. Essere liberi dalla rabbia, dalla tristezza, dal risentimento, dalle emozioni negative sarebbe il nostro stato naturale. Potremmo volare oltre le difficoltà anziché avere la paura di uscire dalla gabbia di tali emozioni.

Il nostro viaggio di consapevolezza del Sé, è un viaggio di ritorno, e poiché è un viaggio di ritorno tutti lo possono fare. Ecco perché ci sono tanti libri e seminari su come essere felici, mentre non ci sono libri su come diventare più arrabbiati o come aumentare lo stress nella vita o del genere: “i 10 passi per essere miserabili”. Quando sperimentiamo uno stato d’animo di sofferenza, cerchiamo di uscirne, naturalmente perché la nostra natura è essere liberi.

Di solito, quando uno perdona non va dall’altro per dire “io ti perdono” ma raggiunge uno stato interiore in cui è disposto a lasciare andare la ferita.
Perché questo è importante?

Immaginiamo una persona abbia il raffreddore e pertanto le sue papille gustative non funzionano bene. Se dopo avergli offerto un piatto molto gustoso gli viene chiesto se era buono, risponderà di non averlo potuto assaporare a causa del raffreddore! Allo stesso modo quando teniamo del risentimento dentro, questo ci impedirà di gustare o apprezzare le scene della vita, le cose belle che stanno avvenendo ma di cui non riusciamo a cogliere il beneficio. Quindi la prima cosa da realizzare è che perdonare è far fluire l’energia della felicità. La mente deve essere libera perché uno possa vivere la vita pienamente.

Perché invece troviamo difficile perdonare? Alcuni affermano di non riuscire a perdonare perché vogliono che l’altro sia punito e soffra per l’azione scorretta compiuta. Solo allora considerano il perdono. Tale ricerca di un pareggio viene meno se si comprende che qualsiasi azione uno faccia, al momento giusto, ne riceverà il ritorno. Non c’è bisogno di essere giudici né di verificare che l’altro stia pagando il conto. La comprensione dei principi spirituali insegna a lasciare andare per poter andare avanti.

C’è una bella frase in hindi che dice: “lascia andare e sii libero”. Non è la situazione che mi tiene legato, sono io che la lascio andare.
Quindi la prima cosa è perdonare e lasciare andare le ferite del passato, ma ancora meglio è diventare così emotivamente forti da non essere feriti.

Ricordo alcune persone spiritualmente molto avanzate che ho avuto la fortuna di incontrare, davanti a qualsiasi insulto non erano colpite. Non avevano bisogno di perdonare perché in primo luogo non si sentivano ferite.

C’è un detto che dice: “Se mi colpisci una volta, tu sei responsabile, ma se mi colpisci due volte io sono folle” perché dovrei aver imparato dal primo colpo come schivare il secondo. Se cado su una buccia di banana una volta, la volta dopo ci starò attento affinché non si ripeta. Così nella vita posso rendere tutto significativo, imparando la lezione in modo che non si ripeta e non ci sia risentimento nel cuore.

Un altro aspetto è perdonare il Sé. Per superare l’amarezza di aver sbagliato devo prendermi qualche impegno in modo da non ripetere lo stesso errore. Può essere utile scrivere una lettera a me stesso, per vedere i miei pensieri sulla carta: quello che ho fatto, che penso e quello che provo. Posso identificare la lezione che quell’errore mi ha portato. Prendetevi del tempo, osservate voi stessi, parlate a voi stessi. Nello scrivere c’è maggiore chiarezza e onestà interiore. Un errore, se ben elaborato, può portare più forza e più saggezza.

Poi c’è anche l’aspetto di chiedere perdono. Ma se la persona che avete ferito non vuole ascoltarvi, in mancanza di comunicazione verbale, potete creare dei buoni pensieri e sentimenti positivi. Prima o poi, questo stato interiore sarà percepito dall’altro, farà da “ammorbidente”, e un giorno quella persona sarà disponibile a parlare. Ci vuole pazienza e nell’attesa agite con la mente e preparate il terreno interiore. Di nuovo la chiave della libertà è nelle vostre mani.

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