pubblicato il 18/02/17

Ci sono tre energie che sono molto interconnesse tra di loro: Vergogna, Senso di colpa e Pentimento

La vergogna è il prodotto di chi deve tenere alta un’apparenza. In culture di paesi come la Corea e il Giappone, perdere la faccia è motivo di molta vergogna, è molto forte il dover mantenere una “faccia”, un’apparenza, anche se non sono io. In India non possiamo parlare fuori dal contesto familiare dei cosiddetti “panni sporchi” perché questo andrebbe a pregiudicare l'integrità della famiglia. Quando le persone provano vergogna quell’emozione viene repressa dentro.

Il seme del pentimento è qualcosa di diverso. Il pentimento è quando realizzo che ho fatto qualcosa di sbagliato che è andato contro una mia stessa verità. Quello che accade con il senso di colpa è che questo continua a coltivare il pentimento. Non mi porta ad un punto di realizzazione affinché io possa imparare e crescere, piuttosto mi mantiene nell'errore e continua ad infliggere la stessa punizione. C'è una convinzione nel retroscena della propria mente: il credere che se continuo a pentirmi sto facendo qualcosa in merito all’errore compiuto, quindi, in un certo senso, lo sto gestendo.

Il pentimento è una cosa sana, ma se dura oltre il tempo necessario a trasformare il pentimento in una realizzazione, non riesco più a liberarmi dall'errore, dal passato e procedere. Diventa un limite.
Mi ricordo il periodo in cui sono stata vicino a mio nonno che poi è morto di cancro. Quando vidi il cadavere ebbi l'impressione di vedere il mio momento finale; il pensiero molto preciso e molto forte fu di chiedermi se c’era qualcosa di cui mi sarei pentita al momento della morte.
Proverò pentimento per non aver realizzato prima e quindi una sorta di risentimento? Questa è la quarta emozione.

Il pentimento è connesso con lo spreco, con la confusione, con l’essere dispersa in tante direzioni senza una meta precisa. Molti si occupano di cose inutili ed un bel giorno si chiedono: “che cosa ho concluso...non molto!” C'è molta differenza tra essere “occupati” ed essere “attivi”. Chi è attivo vive con uno scopo e tutto quello che fa ha un impatto. Il senso di colpa è anche molto connesso con lo spreco di tempo e il procrastinare.

La radice del senso di colpa è nell'ego. La nostra natura originale è di essere veri, puri, pertanto i bambini danno un senso di purezza. Man mano che cresciamo sviluppiamo un’identità che chiamiamo alter-ego che viene modellata dalla cultura, dall'educazione e dalle conseguenti percezioni rispetto a ciò che uno ritiene sia la realtà. Non è detto che ciò che consideriamo reale, lo sia!
Quando cerchiamo di essere ciò che l'alter-ego ci propone, si attivano dei meccanismi di difesa perché devo proteggere chi sono, devo provare chi sono e devo mantenere alta un’apparenza. Così diviene importante quello che gli altri vedono o pensano di me.

Per l'ego ci sono due facce, come due piatti della bilancia:
- una parte è il costante bisogno di provare se stessi,
- sull'altro piatto della bilancia c'è il pensare non sono valido abbastanza.

Pensare di essere limitati è spesso confuso con l’umiltà, ma è una falsa umiltà.
Il lavoro dell’ego è di identificarsi troppo con le proprie forze e questo ci rende arroganti, oppure di identificarsi troppo con le proprie debolezze e questo mi riduce l’autostima.

E come pensa l’ego quando fronteggia una situazione, una difficoltà ? ”Io ho ragione, tu hai torto”.

Per disattivare l’ego abbiamo bisogno di spazio e distacco e molta forza interiore.
Quando usiamo l’energia del senso di colpa usiamo qualcosa di non utile e ci rende disonesti, cercheremo di manipolare le situazioni, di manipolare o di gestire le nostre risposte piuttosto che essere naturali e rispondere con dignità.
Mettiamo che io entri in questa stanza, mi posiziono qua davanti a voi, vi sorrido e voi mi sorridete. Forse penserete: questa persona è carina, sorride! Ma se io venissi qua dentro con il grugno, magari ho soltanto una faccia deformata e quindi sembro molto seria, molto accigliata, scommetto mi guardereste pensando: “Oh come è seria! Ha dei problemi! Perché mi guarda male? Ho fatto qualche errore?”
Ma mentre accade il vostro volto cambierà e comincerà ad assomigliare al mio. E io guardo voi che cambiate faccia e penserò: “Cosa hanno questi!? Io non ho fatto nulla! Perché mi guardano così?.. Così reagirò e voi cosa direte? “Questa è nervosa”

Questo è il gioco, però da dove inizia? Da una percezione fisica! Il nostro senso di identità è così radicato nella percezione, tanto che possiamo completamente destabilizzarci guardando la faccia di qualcuno.
Per questo nella meditazione impariamo a posizionarci più in profondità rispetto a questa dimensione fisica. Comincio a creare una relazione indipendente con me stessa e pensare quali sono i principi grazie ai quali voglio gestire la mia vita.

Si parla di carattere e strategia, ma se devi essere senza uno dei due meglio essere senza strategia perché, di fatto, la gente seguirà qualcuno che ama, che è affidabile e che rispetta.
La meditazione ci dà il potere di rinegoziare questa nostra identità.

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